Trenta minuti al 19. Lo so, ho sbagliato, una piccola avventatezza, un’ingenuità da provinciale sconsiderato. Dovevo prendere il taxi insieme agli altri. Una parte di me forse ci sperava: quattro chilometri e mezzo per arrivare a casa. Aspettare fermo mezz’ora o camminare quarantacinque minuti: non ho nemmeno bisogno di pensarci. Milano notturna, vuota e silenziosa; sempre la stessa ma nuova. Era un po’ che volevo incontrarla. Mi addentro in Piazza Duomo come un treno merci lento, la fotocopia alla lontana dell’universitario che fui, che percorreva le stesse strade nelle assolate mattinate di lezione o immerso nell’ansia per esami che avrei passato per il rotto della cuffia. Il cliché della bellezza di Milano di notte è banale ma è di un reale che sa di ipertrofico. Mi domando quante altre volte mi è capitato di attraversare la città da parte a parte all’una e mezza di notte, come quando a 15 anni facevo i chilometri per Busto Arsizio a piedi. Credo non sia mai avvenuto.
Tutto sembra incombere
Tutto sembra incombere
Tutto sembra incombere
Trenta minuti al 19. Lo so, ho sbagliato, una piccola avventatezza, un’ingenuità da provinciale sconsiderato. Dovevo prendere il taxi insieme agli altri. Una parte di me forse ci sperava: quattro chilometri e mezzo per arrivare a casa. Aspettare fermo mezz’ora o camminare quarantacinque minuti: non ho nemmeno bisogno di pensarci. Milano notturna, vuota e silenziosa; sempre la stessa ma nuova. Era un po’ che volevo incontrarla. Mi addentro in Piazza Duomo come un treno merci lento, la fotocopia alla lontana dell’universitario che fui, che percorreva le stesse strade nelle assolate mattinate di lezione o immerso nell’ansia per esami che avrei passato per il rotto della cuffia. Il cliché della bellezza di Milano di notte è banale ma è di un reale che sa di ipertrofico. Mi domando quante altre volte mi è capitato di attraversare la città da parte a parte all’una e mezza di notte, come quando a 15 anni facevo i chilometri per Busto Arsizio a piedi. Credo non sia mai avvenuto.