SBAM!
Un anno fa Ragnatele nasceva! Mi sembra davvero ieri, ma se penso ad ogni numero, riflessione, frase o refuso, ogni mail arrivata da qualcuno di voi, ogni risposta o aneddoto, me ne esce un puzzle bello fitto.
Ho nella mente una parete ragnatelesca e psichedelica, l’ambientazione giusta per festeggiare questo compleanno come si deve.
Intanto una canzone scontata, tipo la dance degli anni Novanta ai matrimoni.
Anche Ragnatele ora è un numero sul calendario e io non potrei esserne più felice.
(la grafica per questo numero è una delle prima versioni della copertina del singolo di Compleanno, che mi avevano fatto i ragazzacci Euge e Canz: era bellissima!)
Questa settimana, come vi anticipavo ieri, un piccolo susseguirsi di curiosi allineamenti astrali ha creato un tripudio di poesia digitale del tutto imprevista. In qualche modo si sono chiusi alcuni cerchi aperti un anno fa con la creazione di questa newsletter.
Partiamo dall’inizio. Nell’ultimo numero vi avevo segnalato un articolo che avevo scritto ultimamente, una riflessione che partendo dai Maneskin si espandeva fino ad analizzare brevemente il significato odierno della musica. La sostanza toccava vari elementi, ma riassumendo ho individuato nel successo planetario di questa band di revival hard/funk una specie di cartina al tornasole della fine di una certa idea della musica. La musica "dei dischi”, delle comunità controculturali, delle identità differenziate. Oggi che tutto appartiene a tutti cambia anche il significato di perseguire un percorso artistico, perché si è spostato il baricentro su cosa identifichi, in fondo, l’arte. Ogni cosa somiglia ad una goccia in un unico oceano digitale.
I Maneskin sono un po’ come dei personaggi provenienti da un fantasy cyber punk, il gruppo bandiera del villaggio globale, in cui non conta da dove provieni, chi sei e non conta nemmeno cosa dici. La rappresentazione generica dell’idea che i più hanno della musica. Oggi quello che noi abbiamo sempre conosciuto come arte Novecentesca-discografica-rock, non so come definirla, non può che andare in quella direzione, nell’inseguimento di una iconografia perenne che non sia altro che un ologramma, una simulazione, uno stereotipo. Di sfondo a tutto ho immaginato gli enormi faccioni pixelati di Zuckerberg o di Musk che divorano tutti i contesti nei quali possiamo trovare riparo dal nostro disagio esistenziale traendone profitto.
Le deviazioni a partire da questi ragionamenti mi schizzavano dal cervello e ad un certo punto mi sono dovuto fermare. Ho scritto questo articolo e l’ho proposto a OndaRock, che spesso in passato ha ospitato miei interventi su disparati temi musicali.
Il pezzo, con mio sommo stupore, deve avere toccato alcune corde condivise perché in tantissimi lo hanno ricondiviso e commentato, anche in meandri del web a me sconosciuti. Certo, è un controsenso che un articolo che di fatto parla dei danni del web poi venga diffuso sul web, ma non è forse questo il web?
Ecco, lunedì mattina, mentre ancora occhieggiavo con divertita curiosità il nomadismo digitale delle parole che avevo scritto, ho ricevuto un messaggio inaspettato. Proveniva da Enrico Silvestrin.
Mi ha lasciato il suo numero e mi ha chiesto di chiamarlo. Io, abbastanza sbigottito, l’ho fatto subito. Mi ha spiegato che il mio articolo aveva aperto un fitto dibattito sul suo canale Discord (che io non sapevo bene cosa fosse) e che gli avrebbe fatto piacere parlarne insieme nella sua diretta su Twitch (che sapevo solo parzialmente cosa fosse), da lì a pochi minuti. Con grande piacere ho accettato e ho atteso la sua chiamata dalla diretta.
Ora, Silvestrin è una personalità storica per la musica italiana degli ultimi tre decenni. Sicuramente per me, perché io appartengo alla generazione MTV. Lui, di quella rete, è stato il primo volto italiano, dopo una gavettona londinese. Possiamo dire che a fine anni Novanta MTV in Italia era ancora un canale aperto alla sperimentazione di formule televisive nuove ed è stato Silvestrin ad alzare l’asticella dell’importanza della musica nella nostra televisione. Nei primi anni Duemila il suo Supersonic per me rappresentava la porta dimensionale per capire cosa fosse un concerto. Sul suo palco invitava tre gruppi ogni puntata, si esibivano in un mini set davanti al pubblico dopodiché li intervistava. Artisti mainstream come Jovanotti, Elisa o Carmen Consoli a fianco a gruppi alternative come i Verdena, i Linea 77 o i Tre Allegri Ragazzi Morti. Invitava anche gruppi indipendenti dall’estero (Ne ricordo uno australiano, una formazione con il contrabbasso di cui non mi è rimasta nessuna informazione tranne un giro di basso che in vent’anni non ha mai smesso di ronzarmi in testa). Tra gli internazionali poi non mancavano fuoriclasse come Mark Lanegan o leggende come i REM o addirittura Elton John. Lo studio era piccolo, le telecamere ti portavano praticamente sul palco di fianco ai musicisti, li spiavano. Un programma clamoroso, ogni puntata era una specie di lezione universitaria sulla musica dal vivo. A 12 anni, mentre iniziavo a sentire il richiamo verso quel mondo, era un paese dei balocchi.
Mai avrei pensato che un giorno quel’Enrico Silvestrin mi avrebbe chiamato al cellulare per invitarmi a discutere di musica di fronte ad una platea, ma è esattamente quello che è successo lunedì.
Pensavo che ci confrontassimo dieci minuti, sono stato al telefono con lui circa un’ora e un quarto. E la conversazione, partita dai Maneskin, è stata davvero interessante.
Abbiamo individuato una deriva numerologica. Algorithm music, potremmo definire la tendenza che si sta costruendo tutta attorno a noi. Le emozioni umane diventano una faccenda statistica e alcune dinamiche vanno per la tangente. Io l’ho sempre detto che la matematica avrebbe fatto solo danni.
Abbiamo anche avuto modo di ripercorrere brevemente la trasformazione sociale dell’Indie italiano, da movimento artistico a categoria di consumo, un tema che qui ho toccato più volte, citando anche la mutazione antropologica di Manuel Agnelli. In particolare avevo fatto una nuotata in queste riflessioni in un numero di newsletter diviso in due parti, che avevo intitolato INDIE-TRO.
Insomma, dopo un anno di riflessioni e labirintici vagabondaggi con in testa quelli che nella mia testa rappresentano gli anni dell’inizio del mio tutto (il 2001, 2002), mi sono ritrovato a ragionarne proprio con chi ha incarnato, nel mio immaginario, il sunto di quel tutto. È stato quasi come se la lenta costruzione di questa piramide ragnatelesca dovesse preparare quella telefonata.
Oggi Enrico è un resistente musicale. Mi ha invitato a seguire la sua social comunità, molto unita, molto appassionata e soprattutto con gli occhi incollati sulla contemporaneità, su quello che accade nella musica di oggi. A telefonata conclusa, provavo una sensazione surreale e gratificante ma non era finita lì.
«Appena ascoltata», ho letto di sfuggita su Facebook subito dopo. Era un commento di Claudio Sciarrone: LA matita del mio universo fumettistico fanciullesco. Forse qualcuno di voi ricorda che il primissimo numero di questa newsletter si chiamava «Come Paperinik», e prendeva le mosse proprio dal suo fantasmagorico lavoro alla Disney. Per iniziare a dare una forma ai miei pensieri iniziali, esattamente un anno fa, mi ero domandato dove poteva risiedere per me l’origine del concetto di ispirazione. Il suo nome è il primo a cui ho pensato.
Lunedì Claudio non solo ci ha ascoltati in diretta ma è poi andato oltre: ha dedicato a me, a Silvestrin, alle riflessioni sulla musica e alla nostra conversazione un post riassuntivo, di cui riporto una sola frase definitiva:
«I Måneskin sono i Khaby Lame del rock».
Tutte le suggestioni evocate dagli scritti di questi mesi si sono fatte concrete in un unico giorno di novembre.
Eccomi dunque con un simbolo della mia infanzia e uno della mia preadolescenza che seduti ad un tavolo digitale parliamo dello stato dell’arte in Italia. Ora sono un po’ confuso sulla mia relazione con il web. Ma mi sa che, almeno fino ad ora, qualunque fosse il senso di questa newsletter, è stato il senso giusto.
Everything in its right place.
Tra gli apprezzamenti per il pezzo sui Maneskin, anche un altro mi ha sbalzato dalla sedia, quello di Massimo Del Papa, storica firma del Mucchio Selvaggio il cui forum online, manco a farlo apposta, è stata una delle comunità online musicali più formative nel mio periodo liceale, già galoppando verso i 18 anni. Non solo Massimo mi ha scritto, ma mi ha poi addirittura citato in questo suo articolo PAZZESCO.
Quindi il primo anno si è concluso, finito a fuochi d’artificio e assolo pirotecnici di batteria direi. Non poteva davvero andare meglio di così.
Quando ho iniziato Ragnatele non sapevo se la cosa sarebbe durata. Avevo scritto che forse, chi lo sa, mi sarei fermato alla prima uscita e non era una cosa che avevo realmente escluso. Ci sono stati numeri durante i quali mi sono dovuto imporre di ficcare la testa sullo schermo, perché un impegno è un impegno e assumersene uno di fronte alle persone è qualcosa di importante. Ci sono stati periodi in cui per settimane non ho scritto nulla, altri in cui non riuscivo a non farlo. Alla fine, sono usciti in un anno esattamente 24 numeri, nell’ottimissima media di due al mese. Tra una cosa e l’altra, nella vita non ho mai scritto tanto come nell’ultimo anno e questo pensiero mi dà un sacco di energie.
La cosa più bella di una newsletter è il creare una specie di comunità. Ok, un po’ a senso unico, perché io posso avere un’idea di chi siete singolarmente ma voi non avete un modo diretto di individuarvi tra di voi. C’è un effetto che non mi aspettavo. Ogni nuova iscrizione, da un anno, mi getta nuovamente in una dimensione di responsabilità. Mi ricorda ogni volta che non scrivo per me stesso. Quindi ecco, mi sento di dire che, grazie alla vostra presenza e al vostro supporto, che sia solo un click ogni tanto, sto imparando un po’ di più il valore della responsabilità. Che a 32 anni poi è anche ora porco giuda.
Quello che sapevo all’inizio era che volevo allontanarmi da alcuni preconcetti nei mei stessi confronti, allontanarmi da una visione artistica già nota, riscoprire perché suono, ricordare il passato per delineare nuovi confini. Per mesi il mio scopo rimaneva allontanarmi. Da un po’ sento che, a furia di allontanarmi da qualcosa, mi sto anche iniziando ad avvicinare a qualcos’altro. Cosa, ancora non lo so.
Everything In Its Right Place
so proud of you buddy