Lo sguardo stremato di Amadeus non riesce a nascondere quel barlume di euforia, da qualche parte in fondo alla pupilla. Mentre guarda la camera sa che mancano poche ore per il riposo, a conclusione di una settimana folle, assurda.
Sul palco, i tre finalisti di Sanremo 2021 sorridono imbarazzati di fronte al pubblico di orchestrali e sedie vuote. Ermal Meta, freccia scoccata nel cuore dei beceri di tutta Italia con una canzone plagio dello stesso concetto di plagio, un super saiyan del plagio, Orietta Berti, premiata dalla vita e ignara di avere portato un po’ di piccola poesia Sorrentiniana con il suo turbinio di candore anni Sessanta, e a sorpresa il duo Colapesce e Di Martino, che hanno fumato erba in quantità, occhiali da sole al buio, due sosia di David Lynch e Beavis & Butt-head in tinta pastello.
Sta per arrivare la busta e c’è tensione ed emozione ma forse a casa giunge soprattutto la fiacchezza e la disillusione. Questo teatro vuoto degli anni Cinquanta non è mai sembrato così piccolo. Appare un po’ come il futuro?
Amadeus attende la busta, al suo fianco un Fiorello ormai sciroccato, una sorta di Bugs Bunny fuso con Renato Carosone. «Ama è quasi finita, Ama ce l’abbiamo fatta». Le sue trovate di animazione turistica di fronte ad un pubblico inesistente per 4 ore a sera ne hanno inceppato la consueta disinvoltura. Ha solo voglia di tornare a casa e porre fine a questo balbettante pseudo varietà. Recita col pilota automatico ma oramai non ne può. Ama di qua, Ama di là. Anzi, per una volta ha proprio voglia di odiare un po’. «Hai sessant’anni Fiore - pensa - per quanto ancora?».
La busta è arrivata. «Ed eccoci - dichiara Amadeus - E’ stata una grande emozione. Un altro applauso ai finalisti». Applauso registrato. Lo voleva vero, non ci ha pensato e gli ha fatto un po’ male. Ora porrà fine a questa cosa.
«Il vincitore…del settantunesimo Festival di Sanremo…è….». Amadeus estrae il cartoncino dalla busta, lentamente. Più il cartoncino sbuca dai due lembi di carta più il suo sguardo si fa perplesso. Gli occhi vispi ruotano a destra, un sorriso imbarazzato e sorpreso. «Credo ci sia un errore, mi portate la busta corretta?». «Ama non ce la faremo mai» dice Fiorello in una risata poco convinta.
Non succede niente, l’imbarazzo esce dalle TV ed entra nei salotti.
«Vado a vedere cosa succede», dice Amadeus tra sospironi e sorrisi di circostanza. Fiore fa appello a tutte le sue ultime forze per preparasi a reggere l’ennesimo tempo indefinito di vuoto sul palco. «Questo mi ricorda qualcosa, avremo mica smarrito Bugo di nuovo?». Coraggio Fiore.
Amadeus vola dietro le quinte. Lo sguardo incerto e la faccia rossa. Non è nemmeno in grado di arrabbiarsi. «Chi mi ha dato la busta?». Lui, no, è stato lui, no io avevo detto di aspettare. C’è stata confusione, gli è stata data la busta errata ma non sarebbe dovuto accadere. La busta corretta, però, non arriva. «Vorreste dirmi che c’è solo questa? Ma come?». La concitazione, la stanchezza e l’agitazione di decine di persone dai volti mascherati, attente a non urtarsi nei piccoli camerini di un vecchio teatro non aiutano alla chiarificazione. Un tecnico, in barba ad ogni norma anti Covid, afferra il braccio di Amadeus e lo conduce verso la postazione di RAI Trade. Un dirigente sta sbraitando di fronte allo schermo. «Ama guarda». Amadeus inforca gli occhiali e fissa lo schermo che riporta il risultato della gara. «Ci sarà un errore, un blocco, è lo stesso computer dell’anno scorso?». «No Ama, stiamo cercando di capire. Abbiamo già riavviato il sistema più volte ma il risultato che esce è sempre lo stesso». Un ragazzone con la barba sfatta e un cappellino si precipita di fronte al computer e macina tasti come un polipo, in automatismi assolutamente misteriosi. «E’ il programmatore più bravo, stava in Google, ora capirà il bug». Dal palco si sente Fiore che fa interviste finto divertenti per la milionesima volta ai membri dell’orchestra. Il ragazzone finisce la sua indagine e perplesso lancia la diagnosi: «Non capisco, sembra tutto in ordine. Forse degli hacker». I tecnici di RAI Trade si accompagnano stremati a controllori dell’antitrust, bevendo insieme dei caffè corretti oramai da 4 ore. Amadeus si avvicina di nuovo ai risultati del televoto come se scrutandolo ad occhi stretti potesse trovare una risposta a tutti i dubbi. Sullo schermo c’è scritto: Fai Rumore, Diodato.
«Dobbiamo trovare il vincitore reale. Non posso andare sul palco e dire che per un errore tecnico nella lettura dei dati il computer segnala il vincitore dell’anno scorso».
La regia decide di prendere tempo, anche se nessuno è più lucido: «Ok, falli ricantare Ama». «Cosa? Ancora?». «Sì sì, fai ricantare i finalisti. Vai sul palco e spiega che ricanteranno. Mandate qualcuno a dire all’orchestra di rifare i pezzi. Capiamo cosa è successo e torniamo sul palco con delle risposte».
Amadeus esegue, recuperando un Fiorello al limite dell’isteria psichedelica che da minuti interminabili improvvisa monologhi davanti a tutta Italia. Ama annuncia che dopo la pubblicità i finalisti ricanteranno per un riconteggio dei voti. «Quest’anno è una sfida all’ultimo voto», dice fingendo entusiasmo, ma sa che il punto non è questo.
Dietro le quinte, i dati sono ri-scaricati e contati a mano, incrociati coi gestionali e addirittura, in gesti di disperazione, falsati ma non c’è niente da fare. Il risultato riportato dalle macchine è sempre lo stesso: Fai Rumore, Diodato.
E c’è di peggio. Negli smartphone dei tecnici iniziano a rimbalzarsi le ultime agenzie. I giornalisti, le testate, Twitter, Instagram, Facebook. Qualcosa è filtrato. Fuori sanno. «Sanremo: caos nei dati, risulta il vincitore dell’anno scorso», «Indiscrezioni sanremesi: Diodato vincitore anche se non in gara», e ancora «Il Servizio Pubblico vittima di un bug: la canzone dell’anno scorso vince di nuovo». È già una barzelletta. È già un meme. Qualcuno, ai piani alti, vuole già delle risposte e i telefoni iniziano a vibrare, a squillare. Qualche dirigente RAI da Milano fa sapere che iniziano i primi problemi con gli sponsor e con gli investitori. O salta fuori il vincitore o qualche testa salterà.
I manager dei finalisti in gara stanno occhi negli occhi ad ogni tecnico di RAI Trade che incroci il loro sguardo: non vogliono che il proprio artista venga penalizzato da questa confusione.
«Chiamate altri concorrenti anche non tra i finalisti - urla qualcuno - fateli venire in teatro a cantare, mandate spot, barzellette, non mi interessa, allungate il brodo, ci serve tempo».
Amadeus cerca di mantenere i nervi saldi mentre controlla da dietro le quinte che sul palco lo show prosegua con una parvenza di professionalità. In un gesto di istinto si allontana in una rara zona tranquilla, prende il telefono e chiama l’unica persona davvero protagonista di questa vicenda. «Pronto Antonio», Diodato risponde con stupore e divertimento, «Ama ma cosa sta succedendo? Sto vedendo la puntata e non si capisce nulla, sul web dicono che è uscito di nuovo il mio nome per un errore, è assurdo». «Sì lo so, non capiamo, c’è un bug o forse degli hacker. Qui è un casino, un disastro. Tu non ne sai nulla vero? Nessun collaboratore, forse fan?». «No davvero, è veramente assurdo». Intanto Wille Peyote si sta esibendo sul palco, arrivato in emergenza.
«Senti Ama, io vengo lì». «Come no scherzi». «Sì sì sono ancora a Sanremo dopo l’esibizione dell’altra sera. Vengo e guardo i dati, magari mi si accende qualcosa e capisco, non lo so, se ci sono degli hacker vorrei monitorare la situazione, c’è di mezzo il mio nome e mi preoccupa». «Certo capisco. Dai vieni subito ti aspetto».
Diodato si precipita fuori dall’albergo e in pochi minuti è all’Ariston. Con Amadeus, Fiorello e i tecnici, guarda sbigottito i dati sullo schermo del computer. Conferma che no: non se ne capacita.
I cantanti in gara si sono esibiti quasi tutti. Gli uscieri dell’Ariston cercano di farli deviare il più rapidamente possibile verso i propri alberghi perché lo spazio nel teatro è poco e non si può stare vicini. I finalisti sono in un angolo con i loro manager, e sono furibondi. Le minacce di cause si alternano a telefonate con gli uffici stampa. Oramai si è fatto un orario molto tardo ed è ovvio a tutti gli addetti ai lavori che la gente, a casa, sta andando a dormire, o sta cambiando canale. Non è mai successo in 71 anni che l’ultima serata del Festival di Sanremo finisca senza l’annuncio di un vincitore. Amadeus e Fiorello si abbracciano per farsi forza a vicenda. «Coraggio, la supereremo». Arriva uno stagista con un cellulare in mano. «Signor Amadeus, è il presidente». Eccola. La telefonata più temuta. E’ Marcello Foa, il Presidente della RAI. Amadeus prende un enorme respiro e stringe il pugno della mano. Risponde: «Presidente…», «Amadeus, cosa succede?», «Non riusciamo a capirlo. I rilevatori sono tutti impazziti senza logica ma non possiamo dare un vincitore a caso, dobbiamo prendere tempo o non agiremmo correttamente. Dobbiamo rimandare». «Sì ma gli sponsor sono furibondi e lo sono anche dal ministero. Non si può trattare il Servizio Pubblico in questo modo. Fate qualcosa, chiudete questo festival con un segno». «Non saprei davvero cosa fare Presidente. Posso solo annunciare che c’è un problema tecnico». «Sì ma senta, la canzone che erroneamente il programma dice che avrebbe vinto, di Diodato giusto?». «Sì è quella, che vinse l’anno scorso». «Non la si potrebbe mettere in chiusura?». «Ma come? Snobbando i veri finalisti?». «Vede, di questa canzone e di questo bug ne stanno ormai parlando in tutta Italia da tutta la sera. Si figuri le reazioni, la stampa annuncia che ha vinto di nuovo, le battute e i post che si susseguono sui social, per quanto sia pazzesco questa canzone di un anno fa sta diventando un simbolo di questa assurda edizione e un simbolo di tenacia. Se spiegherete agli italiani che l’annuncio dei vincitori è rimandato ma mandando Diodato a cantare la canzone, porteremo a casa l’edizione. Lui è lì?», «Sì è qui con noi», «E allora fatelo Amadeus, è la scelta giusta!».
Amadeus attacca il telefono confuso. È da poco finita l’ennesima pubblicità e sul palco è appena tornato Fiore che ora sta facendo chiamate a caso a vari vip dal proprio telefono per tenere vive le gag. Ama raduna la regia, gli autori, i tecnici e un direttore d’orchestra. E ovviamente Diodato. Spiega a tutti il piano per la conclusione; l’incredulità è palpabile ma una cosa è certa: nessuno ne può più. Quello che sta avvenendo questa sera è un suicidio in diretta della RAI.
«Me la sento», dice Diodato. «Ci sto».
L’orchestra conosce la canzone: l’hanno suonata la prima sera.
Tutto è rapidamente concordato. Amadeus salirà, spiegherà che c’è un importante errore tecnico e che per la prima volta nella storia del festival il vincitore non sarà annunciato durante l’ultima serata di Sanremo. Poi accennerà al bug del risultato della canzone di Diodato con una battuta sullo stile di “ha fatto tanto rumore” e ne annuncerà a sorpresa la presenza. Il festival si chiuderà con l’esecuzione di Fai Rumore.
È il momento. Diodato è pronto, ha gli auricolari e un abito di scena e sta dietro al palco.
Amadeus sale. Prende il microfono e osserva le sedie vuote.
«Eccoci finalmente, scusate per stasera e grazie» dice. Tutti i tecnici sono concentrati e sereni. Sta per finire questo momento di panico condiviso.
Amadeus guarda dritto in camera e tutto d’un fiato dice: «Il vincitore della settantunesima edizione del Festival di Sanremo è Diodato, con Fai Rumore». Per pochi attimi, nel silenzio assordante, Ama fissa gli italiani guardando in camera. Poi, senza null’altro aggiungere, si volta verso destra ed esce di scena.
Non ha detto nulla di quanto concordato. Ha detto quello che gli è uscito dal fondo dell’anima. Ha espresso la verità dei dati, la verità dell’automazione. Ha dato retta all’assurdo, al nonsense imposto dalla macchina. Ha trasformato la sua frustrazione in poesia. Non sa esattamente perché, ma l’ha fatto.
Diodato è già sul palco quando realizza che cosa è successo. Il metronomo nelle orecchie è già partito. Le prime note di pianoforte introducono l’orchestra. Come in una trance autoindotta, inizia a cantare, «Sai che cosa penso, che non dovrei pensare».
La canzone è eseguita in una perfezione superlativa. Diodato è splendente, l’orchestra è compatta, gli addetti ai lavori e perfino i delusissimi finalisti sono commossi. Fiorello tiene la mano sulla spalla di Amadeus, che non dice nulla mentre la canzone va, bellissima.
Da casa il pubblico ancora sveglio è ammaliato. In televisione si sta mostrando realtà, rischio e poesia. Si sta mostrando arte.
È circa durante il primo ritornello della canzone,, che qualcuno dalla regia nota che il proprio smartphone sta avendo uno strano blocco: segna un giorno completamente diverso, il 9 febbraio 2020. Lo mostra al vicino assorto nella musica e ne sorridono incuriositi fino a notare che anche il telefono di quest’ultimo segna il 9 febbraio 2020. In breve tempo tutti dietro le quinte si stanno confrontando: i telefoni e i computer di tutti sono vittima di questo nuovo bug. Cosa sta succedendo dentro l’Ariston? No, non è solo l’Ariston. I social sono incandescenti. Dimenticato Sanremo, dimenticato Diodato: c’è un attacco hacker a tutti i telefoni e tutti computer. Ovunque è segnato il il 9 febbraio 2020. Nulla oltre quella data esiste in nessuna memoria digitale. Nessun messaggio, nessun progetto digitale, nessun file, nessun post, foto o meme.
È Anonymous, già si scrive. È Elon Musk, si scrive altrove. È il più grande bug della storia o ancora, è una trovata pubblicitaria dei colossi della Silicon Valley.
Tutto è strano. La serata, divenuta nottata è strana. E nel teatro è anche sceso un freddo improvviso.
È mentre Diodato canta «E non ne voglio fare a meno oramai» che Federico Scandrofiglio, un impiegato postale residente a Capranica, in provincia di Viterbo, sprofondato sul suo divano, si accorge che una piccola abrasione sul braccio sinistro procurata per sbaglio lavorando con un saldatore durante il mese di ottobre, non c’è più.
Nello stesso momento a Camposampiero, in provincia di Padova, la counselor finanziaria Giorgia Viàn, si vede nel telefono mentre invia un selfie ad un’amica e nota che il piccolo ritocco che ha fatto fare ad un chirurgo estetico attorno agli occhi durante lo scorso giugno, sembra scomparso.
Diodato intanto sul palco dell’Ariston ha finito la canzone. Amadeus e Fiorello lo raggiungono sul palco e in un gesto automatico che sa di fine, si lasciano andare ad un accalorato deja-vu radunandosi in posa per i fotografi. Questi scattano dalla balconata e non possono credere ai loro occhi. La foto è la stessa, identica, dell’anno precedente. Stesse luci, espressioni, ombre, abiti. In mano a Diodato, c’è perfino il premio. Ma erano vestiti così anche prima? Cercano di ricordare, ma nessuno lo sa più. Il tempo e lo spazio sembrano dilatati a loro piacimento. Nessuno in teatro sa più davvero dove si trova e perché.
Ma da casa nessuno sta facendo più caso alla finale di Sanremo.
Tutti si guardano intorno nelle proprie case e i familiari si studiano i volti l’un l’altro. Piccoli dettagli dei corpi, degli spazi, della natura che si vede dalle finestre. Tutto sembra sottilmente cambiato. A qualcuno manca quel libro comprato a settembre. Qualcuno non ha più addosso la cintura regalata a Natale. Qualcuno che si era trasferito lo scorso giugno si accorge che, di stanza in stanza, non c’è più l’arredamento. Qualcuno riceve messaggi da parenti deceduti lo scorso aprile. Somiglia ad una grande allucinazione collettiva. Alcuni credono di stare semplicemente sognando e cercano di svegliarsi in preda a forti giramenti di testa. Alcuni si convincono che sia in atto una specie di grosso esperimento psicologico sull’intera società.
«È come quel film di Bill Murray», dice qualcuno. «È come quel film di Albanese» dicono altri. «In effetti era un remake», conclude qualcun altro.
Sempre più testimonianze si accumulano nelle ore successive. Gli specialisti delle fasi lunari giurano che tutto è tornato a più di un anno precedente. Ogni elemento pare incastonato nel 9 febbraio 2020, da quando Diodato ha vinto il festival. Il tempo si è come intimidito, si è stretto in una fisarmonica che si accorcia e si slarga da sola. Il tempo è diventato una tartaruga che affonda la testa nel suo guscio, lasciando solo l’impronta di qualcosa che c’era, sulla sabbia tutt’attorno. Solo la memoria è rimasta. L’ultimo anno, ossì, c’è stato. Lo giurano tutti.
Perlomeno, fino a ieri.
Ma adesso è tutto riavvolto. Nessuno si domanda nemmeno come è avvenuto: è semplicemente così.
Gli ultimi tredici mesi si stanno per ripetere, ancora una volta.
Fino al prossimo Sanremo.
Quando ho visto la niusletter al venerdì mi sono molto incazzato...poi l'ho letta ed ho scoperto che va bene così.