Una volta, diversi anni fa, quando lavoravo per una grossa agenzia per il lavoro colloquiai per un’azienda cliente un uomo di nemmeno quarant’anni per una posizione di operaio meccanico. Il suo curriculum ad un certo punto si interrompeva. Di fatto non lavorava da qualche anno, un cosiddetto “buco”. Per prassi, dovevo chiedergli a cosa il buco fosse dovuto. Con un filo di imbarazzo ma con una discreta risolutezza, tipica di chi si è preparato più volte un discorso che sa dovrà affrontare, mi spiegò che aveva fatto degli errori e aveva dovuto pagare il debito con la giustizia. Insomma, stava cercando di rifarsi una vita dopo essere stato in carcere.
Non appena l’uomo uscì dalla filiale un collega mi disse: «Non lo mandiamo nemmeno all’azienda, non lo prenderanno mai un ex galeotto: di solito in questi casi è così». Scrivo di questo episodio perché ricordo il tono della voce gentile di quell’uomo, ma di fatto è solo il primo che mi viene in mente.
Ecco di seguito una serie di frasi che è facile sentire in un pomeriggio tipo nell’ufficio di un’agenzia per il lavoro della bassa Brianza. “Questo è troppo vecchio, l’azienda li vuole da formare”, “Questa è giovane, il cliente non vuole sia a rischio figli”, “No un altro neo laureato non glielo mandiamo manco morto”, “Se è egiziano l’azienda non li vuole eh, perché litigano con i marocchini”, “Musulmano no perché quando c’è il ramadan sono sempre stanchi e fanno danni”, “Per quella posizione vogliono solo donne belle”, “Vogliono solo moldave perché le italiane non sanno cucire”, “Questo beve, si vede dalla foto”, “Va che se ha un nome straniero l’azienda non lo colloquia”. Eccetera eccetera. Li potete anche inventare da voi: state sicuri che qualsiasi cosa vi venga in mente c’è un ufficio Risorse Umane in cui è stata pronunciata.
Quando Elisabetta Franchi ha pensato bene di mettere a repentaglio il fatturato annuale della sua azienda con un paio di dichiarazioni nella famigerata intervista per Il Foglio non ha nemmeno pensato di auto censurarsi perché parlava il comune linguaggio dell’imprenditoria italiana, grande e piccola. Tutti coloro che hanno trovato espressioni come “solo donne anta” e il famigerato “acca 24” comprensibilmente insopportabili, dovrebbero forse chiedersi dove avessero voltato la testa negli ultimi 40 anni di costruzione di cultura imprenditoriale, o meglio di costruzione della società.
Ecco un concetto sul quale sarebbe interessante riflettere: il libero mercato è per definizione libero in tutto. Anche di essere composto da attori che hanno idee disdicevoli, che si comportano in modi che possono fare schifo. E a lasciare che questa deriva diventasse la norma siamo stati tutti noi.
La rabbia collettiva a seguito delle parole della stilista fa rumore ma anche tenerezza. Non è una storia di sana consapevolezza collettiva, ma l’ennesima indignazione artificiale del web di una parte di umanità che rifiuta di riconoscere che è la società stessa a vivere come insegna l’imprenditoria e non viceversa.
Un tempo la cultura aziendale si plasmava attorno alla vita delle persone. Ad un certo punto gli individui sono stati spinti a imitare la cultura aziendale, il mito della performance in primis, nelle proprie vite.
Per quanto un po’ di fisiologica indignazione per le dichiarazioni di Franchi possa essere sana, è impossibile non coglierne un risvolto di generale ingenuità. Cercare un posto nella società di oggi è un atto con il quale le singole persone si mettono abitualmente nella posizione di essere giudicate, discriminate, svalutate, spesso svilite.
Chiunque abbia bazzicato il mondo delle Risorse Umane ha visto cose che voi umani non potreste immaginarvi non tanto per la loro crudezza, quanto per la loro frequenza. E non può avvenire che così: le aziende sono enormi “creature sociali” la cui tipologia e natura sono determinate, solitamente, da una singola persona o da un ristrettissimo gruppo di persone, uomini e donne ossessionati dall’idea di non snaturare l’essenza della grande famiglia che hanno creato o che portano avanti. Così come voi a casa vostra potete decidere chi è meglio invitare o meno a cena, un imprenditore sceglie liberamente chi far entrare nella propria famiglia aziendale. Libero dunque di scatenare senza freni ogni propria pulsione razzista, misogina, classista, sessista o simili.
Nei fatti è ridicolo denunciare la presenza di discriminazione nel sistema capitalistico: è il concetto di scelta della forza lavoro ad essere intrinsecamente discriminatorio. Il valore fondativo dell’idea di ogni azienda è, di fatto, l’esclusivismo.
È semplice da riassumere: chi ha il capitale decide. E solitamente chi ha il capitale non sei tu che mandi candidature su Indeed. Quando scarteranno il vostro CV dall’ennesima selezione per la posizione lavorativa della vostra vita, non pensate che vi abbiano scartato perché non siete abbastanza bravi o formati per quella posizione. No. Vi hanno scartato perché siete donne in età da famiglia. Perché avete già 50 anni o perché ne avete solo 23. Perché avete un nome o un accento straniero. Perché avete un cognome originario del sud Italia. Perché avete fatto dei master troppo costosi. Perché sembrate sovrappeso. Perché sembrate troppo di sinistra o troppo di destra. Perché avete un hobby che potrebbe distrarvi dal lavoro.
Davvero ci serviva Elisabetta Franchi per ricordarci che l’imprenditoria italiana (e non) degli anni venti è un universo putrido all’interno del quale le persone sono numeri funzionali ad un certo ecosistema?
A suon di termini ridicoli adottati dall’inglese, riunioni in giornata negli hotel dell’aeroporto di Heathrow, weekend di team building aziendali con escape room e altre buffonate, la naturale e incontrollata evoluzione del libero mercato ha trasformato il lavoro in una cloaca esclusivista, in cui si accede dalla porta solo se “te lo meriti” e solo se sei un cammello disposto a passare per crune di aghi ogni anno sempre più sottili. Il lavoro di oggi è insomma come quella scena di The Dark Knight di Christopher Nolan, in cui dovendo scegliere un nuovo scagnozzo per il suo variegato gruppo di squilibrati, il Joker obbliga due gangstar a uccidersi l’un l’altro con una stecca da biliardo spezzata in due, con la promessa che chi sopravviverà sarà il suo uomo. “Fate in fretta”, precisa loro.
Aggredire tutte le Franchi che filtrano da sotto il tappeto del cyber liberismo dei nostri tempi è un modo comodo per lavarsi la coscienza e rifiutare di vedere l’insormontabile realtà: il problema è la società dei consumi della quale facciamo parte tutti in diversi ruoli, in primis quello dei consumatori. Vittime e carnefici dello stesso perverso sistema discriminatorio, alla perenne ricerca dell’approvazione degli stessi mostri che affermiamo di voler distruggere.