Verranno tempi vecchi
Eccomi!
Ultimamente non sono stato granché performante con la continuità di Ragnatele. Non significa che questa non possa proseguire ad essere una vostra newsletter di riferimento, nel senso che può insegnarvi tutto su come non impostare un progetto editoriale con caratteristiche appetibili per il successo. Benissimo.
Negli ultimi giorni ho notato un fuoco incrociato di informazioni che avevano al centro un elemento sul quale rifletto da un po’. Una tematica che ho sentito più attuale che in altri periodi.
Non ho visto gli Stones a San Siro. Ci ho pensato e mi sarebbe piaciuto…se solo non fosse morto Charlie. Temevo che vedere la band oramai ridotta a trio lavorare strenuamente per mantenere ancora in piedi la promessa di una impossibile eternità, per quanto fosse a suo modo un’idea eroica, potesse intristirmi un po’. Non so, una volta lì, come l’avrei presa.
Già i video del loro tour di qualche anno fa mi avevano dato alcune vibrazioni un po’ grottesche. Un conto è Dylan, la cui evoluzione stilistica è strettamente connessa alla progressiva anzianità, un conto sono Jagger e Richards sul palco a fare il rock’n’roll esattamente come quando avevano 20 anni.
Anche i video dell’ultimo tour di Springsteen con la E Street Band, per quanto sia più giovane di una decina d’anni rispetto agli Stones, mi avevano fatto un effetto simile.
Mi sembra, a giudicare da quello che ho letto e sentito in giro, che il concerto a San Siro di Mick e co. sia stato comunque molto bello e di questo sono felice.
Al tempo stesso però, più di altre volte, ho percepito a cascata una valanga di banalità insopportabili a commentare il ritorno dei British Bad Granpas. Ogni articolo che ho letto, ogni post, ogni recensione, era la stessa accozzaglia di ovvietà che da decenni si legge per ogni evento relativo agli Stones. I cronisti di quella tipologia di roba, che hanno in media una settantina d’anni, una decina in meno della band, non provano nemmeno più a nascondere uno strano sentimento di noia mortale, di apatia, nel descrivere l’ennesima epica del rock, che poi è l’epica della loro vita.
L’effetto che mi fa è stranissimo perché, come secondo i più è sempre divertente far notare, gli Stones erano considerati vecchi esattamente come li percepiamo oggi anche circa trent’anni fa. Nel mentre qualcosina potrebbe anche essere cambiato no? No. Il rito parte con Keith che va sul palco e suona Jumpin’ Jack Flash: e ok, fino a qui possiamo anche starci. Il corollario del rito (che è parte del rito stesso) è un Guaitamacchi o un Castaldo a caso che da qualche parte scrivono: «Che macchina da riff, quando è salito sul palco è crollato tutto lo stadio». Che palle, ragazzi.
Linus ha scritto in giro: «Leggende viventi». Ammazza, grazie, che contributo.
Ricordate gli Stones a San Siro nell’estate del 2003? I miei mi avevano preso dei biglietti ma non potetti andare per colpa degli esami di terza media, una brutta storia di cui fatico ancora a parlare. Ad ogni modo, io penso agli Stones a San Siro nell’estate del 2003 e la mia mente sovrappone le immagini degli Stones a San Siro nell’estate del 2022. O nell’estate del 2006 (lì sì che c’ero). È fondamentalmente lo stesso episodio, raccontato, trasformato in narrazione sempre dagli stessi quattro cronisti. E con le stesse parole, nostalgiche, adulatorie, stanche. Sarebbe bello fare un esperimento sociale e al prossimo ritorno degli Stones (quando avranno 85 anni) obbligare tutte le testate a ripubblicare solo le recensioni dei concerti in Italia degli anni precedenti. Non se ne accorgerebbe nessuno.
Gli Stones fanno quello che devono, è il dibattito tutt’attorno a loro (e a quello che rappresentano) ad essere identico da decenni. È impossibile invecchiare davvero in quest’epoca storica, siamo dentro Nietzsche al suo stato puro, l’eterno ritorno dell’uguale senza scampo. È che nel sistema Jagger/Guaitamacchi nessuno invecchia mai. Il rapporto tra le parti è sempre invariato, ma genera un vortice che trascina tutto quello che tocca.
Invecchiare è sostanzialmente diventato improbabile. Vi rendete conto che tra 5 anni Jovanotti avrà sessant’anni? Cioè, al di là dell’ovvia ironia contenuta nel suo nome, non è un pensiero assurdo?
Parallelamente al concerto degli Stones c’è stato l’ottantesimo compleanno di Brian Wilson e non so se avete visto questo video di auguri vari.
Guardarlo dall’inizio alla fine, in particolare la prima metà, fa un effetto bello ma strano. Un’intera ambasciata di rock internazionale in pura serenità geriatrica. Sono tutti simpatici e appaiono felicemente disarmati. Nel passaggio che va da David Crosby a John Fogerty a Danny Hutton fino ad un Joe Walsh a cui leveresti le chiavi della macchina, sembra di averli tutti lì, alla fermata del bus.
Ed è ok, sono forti e corrispondono a quello che il Guaitamacchi che è in ognuno di noi potrebbe definire “leggende” ma perché una parata di rockstar ottantenni del genere piace istintivamente così tanto?
Forse perché, ed è qui il punto sostanziale del mio vagabondare, in questa era stiamo assistendo ad un’evoluzione antropologica prima sconosciuta. Ossia un fenomeno per il quale invecchiare è il lasciapassare per una nuova forma di coolness con caratteristiche ben definite. Indipendentemente da che persona un individuo sia, invecchiare lo rende prestigioso e ne crea un profilo onorifico agli occhi della società. Riconfermare sé stessi per decenni è la nuova versione di ciò che è alla moda. È il primo fenomeno di modifica di massa causato da quello che in economia si chiama Silver Economy, su cui per vari motivi mi sono documentato in passato. Sostanzialmente si tratta di quel moto che vedrà al centro della società proprio gli over 55 o giù di lì, che tra una ventina d’anni saranno qualcosa come il 60% della popolazione del mondo. Tutto girerà attorno a loro, saranno i primi consumatori, il primo soggetto politico, la parte più rilevante della società. Saranno espressione della maggioranza e in quanto tali rappresenteranno il paradigma di ciò che è più accettato. Vorrà dire che i giovani inizieranno a voler sembrare vecchi per omologarsi alla maggioranza? Beh continuando a parlare di buon vecchio rock, è esattamente quel che accade già. Come si spiega il successo dei Maneskin? Sono molto giovani ma sembrano vecchi. È tutto lì: la colonna sonora del geriatric welfare che dirotterà tutti i soldi per le università nell’acquisto di poltrone scaldabili nelle RSA è una bella scarica di distorsione nell’ampli marshall mentre tutti stanno “Fuori di testa ma diversi da loro”.
Gli anziani saranno l’unica vera classe dominante del sistema, ragion per cui il sistema, come un essere vivente che si prepara per qualche modifica sostanziale del proprio corpo, si trasforma lentamente pianificando una trasformazione sociologica che agisce prima di tutto nella psiche collettiva.
Ecco perché nessuno nota che gli Stones invecchiano, o meglio lo notano tutti ma si comportano esattamente come se questo non avvenisse. Invecchiare d’altronde mica è strano, voi direste che il tempo che scorre è strano? Sono quelli giovani ad essere curiosi, ad essere esotici. Sono loro l’eccezione.
Mentre scrivo questo numero arrivano le agghiaccianti ultime news dagli USA e non riesco a non vedere un filo conduttore tra il tema su cui sto riflettendo e la riemersione di conservatorismi che abbiamo sempre considerato anacronistici.
È piuttosto ironico che uno dei primi campi in cui la silverizzazione della società si manifesti in tutto il suo splendore è proprio la musica rock, uno dei cui principali esponenti a vent’anni scriveva “I hope I die before I get old”. Che poi, meglio così Pete, oh. T’è andata benissimo, ad altri mica tanto.
Sostanzialmente i millennial, gli x, gli z e tutti quelli che verranno pensano ancora che la generazione dei baby boomer lasci loro la staffetta nella corsa del mondo. Illusi. Il mondo somiglierà sempre più ad una grande corona reale inglese, con una regina immortale e un principe che non riesce a diventare re. Io non mi oppongo e anzi mi porto avanti: l’unico concerto al quale per certo andrò questa estate sarà quello di Robert Plant.
Varie settimanali:
A proposito di vecchie rockstar, beccatevi questo video di Elton John che si imbufalisce con il tecnico di palco direttamente di fronte al pubblico in uno stadio. Che simpatico Elton. Madò, non vorrei essere stato quel tecnico una volta tornato in albergo la sera.
Ho letto questo bell’articolo che Marco Andreoletti ha scritto su Fumettologica di nome “La cultura pop è morta?”. Tocca un tema che secondo me è molto rilevante per capire dove sta andando la nostra percezione del mondo. Anche io avevo scritto un paio di anni fa un pezzo simile, non bello però quanto quello di Andreoletti.
Il nuovo disco di Tutti Fenomen, Privilegio Raro, mi ha per diverso tempo praticamente fagocitato. È un lavoro articolato la cui atmosfera crea una connessione tra una specie di passato mitologico che definirei catastroficamente medievale e un presente molto street, molto trap. Mi sembra che globalmente il tema centrale sia Roma, come se il principale narratore del disco sia la città stessa ormai disillusa da sé stessa. Ci sono tanti riferimenti che non colgo e forse è proprio per questo che mi affascina tanto. Se non l’avete ascoltato ve lo consiglio. Mi piacerebbe farci qualche pensiero più articolato più avanti.
Bene, grazie come sempre se siete arrivati fino a qui. Chi non c’è arrivato grazie lo stesso ma tanto se uno non ci è arrivato non legge nemmeno questo ringraziamento no?
Io sto lavorando ad un luglio interessante.
Vi abbraccio,
Brennekedo