Stairway of consciousness to heaven (e conseguente declino)
Cronaca di un’esperienza musicale immaginata in 7 minuti
Alle 13.07 penso: chissà mai che non possa diventare il chitarrista di Robert Plant.
Stavo guardando un video live con la sua band attuale. Il bassista sembra giovane, quanto avrà, un 33, 34 anni? Io ne ho 31, quindi questa fantasia, diciamolo, non è una di quelle cose che si sparpagliano nel cervello a 15 anni. A quell’età immaginare di essere il chitarrista di Robert Plant significa essenzialmente immaginare di essere un altro. Un inglese o un americano, gente adulta, lontana. O addirittura la fase prima, immaginare proprio di essere Jimmy Page. No, qui parlo di prospettive reali, concrete.
Ora sono io l’adulto. Oggi è tutto diverso, con i social o una mail arrivi a chiunque no? Poi si sa, fuori dall’Italia sono più disponibili su queste cose. Lo dicono tutti. So di amici che hanno fatto mixare il disco all’estero con i tecnici che hanno fatto i dischi dei Muse. Cioè, il cantante dei Muse aveva pure la ragazza a Como giusto? Un po’ come il violinista che ha fatto i lavori dei Coldplay, Davide Rossi. Italianissimo, è finito a suonare addirittura in studio con gli U2.
È così assurdo pensare ad una prospettiva del genere? La lingua? Non parlo un inglese pazzesco ma in pochi mesi tutto sommato si affina. Tipo che a giugno sono pronto, toh. E che dire di quel tipo che conosco che da Gallarate se n’è andato a New York a fare l’attore e vive ancora lì. A Manhattan, non i sobborghi.
C’è poi quell’altro tizio di Milano che aveva collaborato con Robert suonando alcuni strumenti mediterranei; Carlotta mi aveva parlato di lui. Magari si rintraccia, un cellulare forse ce l’ha. Robert userà WhatApp? Gli scrivo dai.
Bravo son bravo. Suonare, suono. Conosco il blues ma anche gli effetti, quelle cose psichedeliche che fa lui. Ho un paio di buone chitarre, a lui piacerebbero. Potrei sorprenderlo, chissà. Sì, ho le idee giuste: pensa a cosa potrebbe fare Robert Plant con me. Bastano due righe e il ghiaccio è rotto. Poi dicono che sia alla mano, per dire. C’è quella storia che lessi qualche anno fa in un forum di qualcuno che lo incontrò mentre passeggiava dalle parti dell’Alcatraz e parlarono un po’. Mi troverebbe simpatico Robert? Beh sì dai. Siamo della stessa pasta io e Robert.
Me lo sento, mi ha già preso, tra poco si comincia. Lo percepisco perché lui ha bisogno di me, è che ancora non lo sa. Chissà poi che bel clima c’è nella band di Robert Plant, sembrano tutti così uniti, così compatti, così sereni e concentrati. Me lo vedo già. Lui che a cena dopo le prove racconta le storie sui Led Zeppelin. All’inizio fa strano ma alla fine appare normale. E nei camerini dopo i concerti farei entrare di sgamo i miei amici che mi direbbero: «Mioddio ma tu suoni con Robert Plant», «Sì ma ormai per me è normale» direi con noncuranza. Sarei l’unico rasato della band. Con una camicia buona potrei spiccare.
Robert sembra così accessibile, così bucolico. Mi sembra quasi di averlo già davanti. Battutaro, che ordina il vino rosso. Tutti in cerchio allo stesso tavolo all’inizio ci sarebbe giusto un po’ di riverenza. Gli altri della band lo conoscono da tanto tempo, ci hanno fatto i dischi insieme, i tour insieme. Io no. E osservandolo bene penserei: io sono al tavolo con Robert Plant. Il cantante dei Led Zeppelin. Tutti quei pomeriggi ad ascoltare How The West Was Won, tutte le ore a risuonare quei riff incredibili. E ora eccolo lì che sbuccia l’arancia e parla di Peter Grant. Oddio ma che sto facendo? Io sono uno da circoli ARCI, come ci sono finito qui? Però lui è uno cordiale, è un simpaticone. Si prende confidenze con tutti, si vede che si vogliono bene. Sfotticchia i ragazzi, loro ridono, fanno facce del tipo: è fatto così. Poi ricorda tutte le situazioni con le ragazzine nei backstage, di quando andava in tour in America da giovane. Sapete no, quelle storie che si raccontano sugli Dei del Rock. Sono tutte vere, lo conferma. Cioè va proprio nei dettagli. Però sono un po’ in imbarazzo, quanti anni c’ha, 73, 75, e parla delle ragazzine? Tutto questo non va bene. Gli altri ridono un sacco. Io non so se mi trovo a mio agio. Qualcosa non va. Robert è un marpione, è un boomer idiota? Chiedo l’acqua al cameriere e Robert imita il mio accento italiano che chiede l’acqua. Lo trova divertente? Ridono tutti. Io no, ma mi sforzo di apparire divertito. Lo imito anche io per fingermi disinvolto. Nessuno ride. Ho caldo e il maglione mi stringe. Voglio andare via da questa cena. Domani andrà meglio.
Il giorno dopo prove ufficiali. In uno studio bellissimo e gigantesco. «Non hai mai visto roba del genere, italiano, eh». Inizia così. Battute e battutine. Agita i boccoli biondi e mi prende in giro perché non ho i capelli. Mi cade il plettro. Cerco lo sguardo degli altri ma sono freddi. C’è nonnismo. Ti faccio tanto ridere Robert? Ti credi divertente Robert? Cerco di rimanere concentrato. Suvvia, nessuno aveva detto che Robert Plant sarebbe stato una persona perfetta: è lavoro. Sono qui per lavorare. Ora sono agitato. Iniziamo un pezzo. Suoniamo bene, arriva il secondo ritornello. Sono bravo. Posso farcela, si va alla grande. Sbaglio un accordo. Prendo proprio il semitono sotto. È terribile. Fa schifo. «Ok, STOP». Robert ferma la band. Sono tutti paralizzati. L’aria è irrespirabile. Ognuno guarda in basso. La violenza psicologica è ovunque nella stanza. Loro hanno paura di Robert: è un padre padrone, uno da bastone e carota, un gangster piazzista, un manipolatore, un despota, un fascista, un mostro. Io sono un dirigibile di piombo. Vorrei volare via ma non ci riesco. «In Italia la sapete suonare quella cosa che hai in mano o mangiate solo la pizza?». Fa i gesti di uno che mangia la pizza.
Che cazzo dici Robert?
Vaffanculo Robert.
Io me ne vado.
Alle 13.14 la mia collaborazione con Robert Plant si interrompe.
PS: sarete perplessi: fate bene! Questa settimana ho pensato che con un po’ di narrativa psichedelica potessi cavarmela, e ne ho approfittato per omaggiare questo disco meraviglioso di Robert Plant del 2014 che negli ultimi giorni sto ascoltando moltissimo. Vi consiglio davvero di perdervi nei meandri di questa opera incredibile.
Quanto a Robert, mi piacerebbe conoscerlo prima o poi. Oppure no?
Vi abbraccio,
Brennekedo