Per la seconda volta consecutiva mi sento di proporvi una piccola puntata monografica. Tranquilli, sarà mia premura interrompere questo borioso trend da Castaldo il prima possibile.
È che non riesco a soprassedere sugli 80 anni di Bob Dylan.
Come molti, io amo Bob. È uno degli artisti che ho visto dal vivo più volte (non riesco a ricordare se 4 o 5). La mia conoscenza della sua opera è a tratti approfondita ma non l’ho mai affrontata con precisione enciclopedica, in parte per scelta: da sempre sento il bisogno di non consumarla, ma di assorbirla lentamente. Sono felice, a 30 anni, di non conoscere ancora bene alcuni suoi dischi: c’è un Dylan per ogni stagione della vita. Un altro motivo è che l’opera di Dylan è monumentale. Non solo: anche ciò che si è generato tutt’attorno ad essa, analisi, dibattiti, spiegazioni, biografie, libri, film, saggi, conferenze e quant’altro, è sfuggito al controllo di chiunque. Questo bellissimo articolo del saggista Alessandro Carrera, dal titolo «Dylan ha ottant’anni e mi ha stremato», spiega perfettamente il fenomeno.
Che è del tutto comprensibile per uno che di fatto ha inventato una nuova forma di letteratura. E c’è chi si domanda ancora il perché di quel Nobel: lui per esempio.
Ecco. Nel mio piccolo ho pensato che il modo migliore per festeggiare questo compleanno fosse cercare di ricordare a me stesso perché Bob Dylan sia Bob Dylan. Ho provato a farlo entrando in una canzone, una sola.
Sad-Eyed Lady of the Lowlands è il brano di chiusura di Blonde On Blonde, del 1966. Meno nota rispetto a pezzi più iconici, rappresenta in verità uno dei vertici assoluti dell’arte dylaniana. La sua storia potrebbe creare un romanzo intero.
Bob la inizia in una notte del 1965 al Chelsea Hotel di New York (lo stesso della omonima canzone di Leonard Cohen del 1974, in cui si racconta di una notte di passione con una donna misteriosa. Che poi è saltato fuori che era Janis Joplin). È facile immaginarlo pieno di occhiaie e sigarette di fronte alla macchina da scrivere come in alcune scene di Don’t Look Back. La comincia ma non la finisce.
Una bella sera di ottobre, qualche mese dopo, Bob si trova in studio a Nashville per le session di quello che sarebbe diventato Blonde On Blonde, il primo disco doppio dell’industria discografica. Aveva già fatto alcune session a New York con i ragazzi dei The Band e altra gente, ma non era stato molto soddisfatto del risultato e su suggerimento del produttore Bob Johnston si era trasferito a Nashville per trovare un po’ di aria nuova.
Della band si è portato dietro solo Robbie Robertson e Al Kooper, ossia l’uomo più paraculato della storia della rock. Originariamente chitarrista giusto 20enne che rompeva l’anima al mondo intero per suonare in un disco di Dylan, durante la registrazione dell’album precedente Highway 61 Revisited (appena l’estate prima: erano gli anni in cui i dischi si facevano ogni 6 mesi, poi tour, poi altro disco, poi tour, così per qualche anno e poi qualcuno moriva) era riuscito a intrufolarsi alle session. Non si sa bene come, era poi addirittura finito in sala di ripresa e quatto quatto si era seduto all’organo hammond durante una pausa, senza saperlo praticamente suonare. Alla ripresa aveva dichiarato che aveva in mente un’idea carina per il pezzo che stavano facendo. «Ok dai» aveva risposto Bob, senza sapere chi questo ragazzino fosse e cosa ci facesse alla sua session. Il fatto è che il pezzo era Like A Rolling Stone, ossia i 6 minuti musicali più importanti di tutto il Novecento e la parte di hammond, l’idea carina, stava per diventare uno dei riff di tastiera più famosi della storia. Ops.
Risultato, Kooper era rimasto nella band di Dylan. E di strada ne farà anche dopo: nel 1967 fonderà i Blood, Sweat & Tears.
Comunque. Quella sera di ottobre a Nashville Bob decide di riprendere in mano il pezzo che aveva iniziato a New York, e si isola in uno stanzino dello studio per finire il testo. Sono circa le diciotto.
Intanto Kooper, Robertson e i turnisti locali aggiunti alla session cazzeggiano, suonicchiano, giocano a carte, mangiano, bevono, fumano e fanno casino.
Bob esce dallo stanzino fresco come una rosa ad un ottimo orario: le quattro del mattino. «Ho finito» dice. Qualcuno vorrebbe andare a letto e giustamente lui risponde «Andiamo a registrarla». Evviva, fanno in coro tutti.
Fuori è talmente buio che sta per arrivare la luce. Entrano in sala di ripresa, si mettono ognuno al proprio strumento e si inizia. Nessuno sa niente di come evolverà la canzone: come al solito Bob non ha spiegato nulla. I ragazzi sanno solo che ha un andamento vagamente valzeresco e sanno che accordi dovranno suonare. Il nastro gira, qualcuno stacca il tempo, Bob prende a cantare. Prima strofa tutto bene, seconda strofa anche. Arriva il ritornello e si riprende la prima armonia. Verso dopo verso, battuta dopo battuta, i ragazzi iniziano a guardarsi sempre più increduli: il pezzo non finisce più. Dopo 3 strofe ciascuna potrebbe essere la conclusiva. Ma Bob non fa accenni, non si ferma: aggiunge solo nuove parole. La canzone dura 11 minuti. Dopodiché Dylan fa cenno per il finale e si chiude. La band è sbalordita.
Ci sono storie discordanti sul destino di quell’esecuzione. Alcuni dicono che la versione finita su disco sia proprio quella, la prima mai suonata. Quel che è certo è che ne vennero registrate almeno altre 3 take, o quella notte o i giorni successivi.
Sad-Eyed Lady of the Lowlands si prende tutto l’ultimo lato del secondo disco di Blonde On Blonde. Un album che a citarne solo alcuni capolavori viene la pelle d’oca: Visions of Johanna, I Want You, Stuck Inside of Mobile with the Memphis Blues Again, Just Like a Woman, 4th Time Around.
Sad-Eyed era un pezzo diverso dagli altri. Per distacco, somigliava ad un sunto di tutto quello che Dylan aveva fatto fino a quel momento.
Fin dalle prime parole è una canzone d’amore, ma di un tipo che Dylan non aveva mai scritto. Per diverso tempo ha aleggiato un certo riserbo su chi fosse la musa ispiratrice. Si trattava, semplicemente, della fidanzata Sara, che Bob avrebbe sposato in segreto il mese successivo. Un indizio ben messo in evidenza era in quell’uso della parola Lowlands, basse pianure, una modifica del cognome che Sara aveva adottato dal primo marito, Lownds.
L’armonica, accennata nei primissimi secondi, torna solo nel finale funzionando un po’ come un sipario per un testo che si inerpica nella costruzione di un immaginario che fonde elementi reali, astratti, surreali e mitologici.
Uno dei suoi più incredibili. Quasi incomprensibile nel significato letterale, ma nel suo astrattismo assolutamente evocativo di un sentimento vivido e al tempo stesso difficile da identificare. La cronaca di un’ammirazione che in certi passaggi somiglia quasi a soggezione. Il sogno lucido di un’idea raggiante di futuro, che prende le mosse da un altrove lontano, etereo ed eterno.
Nel suo incedere maestoso diventa una canzone d’amore alla letteratura tutta. All’arte intera dello scrivere canzoni.
Con la tua bocca di mercurio nei tempi missionari
ed i tuoi occhi come fumo e le tue preghiere come rime
e la tua croce d'argento e la tua voce come campane
oh, chi tra loro pensi potrebbe seppellirti?
L’attacco non è dei più rassicuranti. Un volto che emerge da un paesaggio nebbioso si fa via via più concreto. L’inizio di ogni strofa con “with” è un espediente narrativo che sposta l’inizio del racconto da ancora più lontano di quello che l’ascoltatore immagina. Non è ancora un cliché in quegli anni.
Fino al ritornello che chiude ogni coppia di strofe, i versi parlano sempre direttamente all’interlocutrice, inizialmente dipinta soprattutto come una specie di ninfa lontana.
Quando Bob pronuncia la frase che dà il titolo alla canzone, parte tutta una sezione in cui rivolge lo sguardo a sé stesso.
I miei occhi magazzino, i miei tamburi arabi,
li lascio alla tua porta
o, signora dagli occhi tristi, devo aspettare?
Dopo aver tratteggiato la natura quasi irreale di Sara, Bob si domanda a quel punto cosa uno come lui potrebbe fare. Quale è il suo ruolo nella leggenda della signora dalle pianure dagli occhi tristi?
I “warehouse eyes”, espressione che suona qualcosa come “gli occhi magazzino”, probabilmente sono intesi come gli strumenti del poeta, dello scrittore che è costretto in un istinto naturale e incontrollabile a immagazzinare tutto quello che vede e trasformarlo in parole e in stimoli. “Arabian drums”, un richiamo all’antico e alla fuga? Uno sguardo alle origini ebraiche di Bob, con quel arabian da interpretare in senso molto largo? Difficile non pensare all’attrazione (ossessione?) di Bob per il vecchio testamento, lo spirito guida della sua opera.
Quando Bob arriva alla parola drums la voce si è già spinta verso l’alto in un modo che fa ipotizzare il lancio in un ritornello aperto. Invece no.
L’intensità dell’arrangiamento torna la stessa delle strofe ma più sospesa, in quella che sembra la trasposizione in musica di una persona che si mette in ginocchio e si arriva a «…by your Gates?».
Insomma, tutto questo, la poesia, l’ispirazione, il bisogno, il richiamo dell’arte, viene preso e posto davanti all’uscio di Lei, in pegno. Ma ci si riserva di pensare: e se non fosse ancora il momento?
Da lì, una volta che il pezzo ha svelato il suo schema all’ascoltatore, Bob si lascia andare in un susseguirsi di immagini sempre più epiche.
Con le tue lenzuola come metallo e la tua cintura come merletto
ed il tuo mazzo di carte senza il fante e l’asso
Un suo classico accenno al medioevo e l’immancabile riferimento alle carte e al gioco d’azzardo, immagine amatissima e ricorrente della poetica di Dylan.
Con le fiamme della tua infanzia e la tua coperta di mezzanotte
ed i tuoi modi spagnoli e le medicine di tua madre
e la tua bocca da cowboy e le tue spine da coprifuoco
chi tra loro pensi potrebbe resisterti?
Qui addirittura Bob riesce a tratteggiare con grande precisione il carattere di Sara, una donna che si porta appresso un’infanzia forse non facile che le ha donato una sensibilità non indifferente, ma evidentemente anche una tempra decisa e risoluta. Una che sa sparare, se le dai un fucile.
I re di Tiro con la loro lista dei condannati
stanno aspettando in fila per il loro bacio di geranio,
e tu non sapevi che sarebbe successo,
ma chi tra loro vuole veramente baciarti?Oh, i fattori e gli uomini d'affari, hanno deciso tutti
di mostrarti gli angeli morti che erano soliti nascondere
Ma perché ti hanno scelta per stare dalla loro parte?
La forza di tutti questi versi sta nei non detti. Fattori e uomini d’affari che mostrano le loro debolezze, e addirittura i re di Tiro (città dell’antica Fenicia) che attendono in fila per un bacio. Tutti stregati dalla leggiadria di Lei ma al tempo stesso dipinti come losche entità approfittatrici. Come l’hanno scelta per stare dalla loro parte? Come è finita ad affascinare tutti questi personaggi poco raccomandabili?
Lei è un’eroina che vive un’epopea attraverso i tempi e le ere, che combatte per difendere sé stessa e la propria integrità da un mondo che cerca di plagiarla, distorcerla e possederla. Se la caverà?
Addirittura poco più avanti, Dylan prende un elemento molto personale della vita di Sara, qualcosa che molto difficilmente si utilizzerebbe in una canzone d’amore, e lo trasforma in uno stratagemma di consolazione, nella narrazione di un’ammirazione che va oltre il concetto di gelosia:
Con il tuo ricordo su foglio di metallo di Cannery Row,
ed il tuo marito-rivista che un giorno dovette proprio andare
Il riferimento è al primo marito Hans Lownds, fotografo per riviste. Voi la scrivereste una canzoni sulla vostra fidanzata o sul vostro fidanzato parlando dei suoi ex? Dylan sì.
Nel finale prima dell’ultimo ritornello ecco la figura del ladro, anche questa diffusissima nella poetica dylaniana e probabilmente alter ego dello stesso Bob.
Ora te ne stai col tuo ladro, sei in parola con lui,
con il tuo medaglione sacro che le tue dita avvolgono
Ed il tuo viso di santa e la tua anima di spettro
Oh, chi tra loro pensi potrebbe distruggerti?
L’atmosfera torna a farsi sfumata, lontana, come era iniziata, ma Dylan chiude lasciando intendere che, ne è convinto, nulla possa intaccare la stabilità e la vitalità di Lei, anche dopo tutto quello che ha passato, anche dopo tutti quelli che hanno cercato di approfittarsene. Perché Lei è più forte di tutto.
L’idillio della canzone non si tradurrà del tutto in realtà. Il matrimonio con Sara finirà circa 12 anni dopo, nel 1977. Bob ci proverà pure a tenere le cose in piedi e il tentativo passerà anche attraverso un’altra canzone uscita in Desire nel 1976, una sorta di gemella inquieta di Sad-Eyed Lady dal titolo, per un volta, privo di possibilità di interpretazioni: Sara.
Che in un passaggio recita:
Stayin' up for days in the Chelsea Hotel,
Writin' "Sad-Eyed Lady of the Lowlands" for you
Dylan non ha mai eseguito Sad-Eyed Lady of the Lowlands dal vivo. Era qualcosa che semplicemente doveva rimanere lì, a parte, in quella notte del 1965, un piccolo diamante che doveva brillare per sempre senza essere disturbato dal tempo che passa, dall’invecchiamento, dai cambiamenti della vita.
Nel 1968 la reinterpretò Joan Baez, che era stata lasciata da Dylan proprio per Sara. Probabilmente, la Baez dedicò a sé stessa le parole di resilienza della canzone che l’uomo di cui era innamorata aveva scritto per un’altra donna, in una sorta di omaggio-sfida e prova di coraggio.
George Harrison ne usò alcuni passaggi armonici per comporre Long Long Long.
De Gregori ha cercato per tutta la carriera di riscriverla. Anche De Andrè ogni tanto.
Roger Waters disse che questa canzone cambiò la sua visione della musica, facendogli capire che si poteva osare e che si poteva andare oltre, ispirando di fatto il lavoro dei Pink Floyd.
Ma la definizione migliore di Sad-Eyed Lady of the Lowlands l’ha data Tom Waits: «È come Beowulf e mi fece uscire di testa. Questa canzone può farti lasciare casa, andare a lavorare sulle ferrovie o farti sposare una zingara. Mi fa pensare a un vagabondo attorno al fuoco con una tazza di latta sotto un ponte che ricorda i capelli di una donna. Questa canzone è un sogno, un indovinello e una preghiera».
Bob Dylan ha compiuto 80 anni. E questa è una sua sola canzone.
Solo una.