Shelter from the Storm
Martedì, per la prima volta dopo due anni, ho fatto un concerto.
E non intendo approssimativamente due anni, ma due anni perfetti, chirurgici. L’ultima volta che ero salito su un palco era infatti il 21 dicembre 2019, ed ero all’Ohibò.
Quello dell’altra sera è stato il regalo di Natale migliore che potessi ricevere.
Un concerto atipico, ma tanto cosa c’è stato di “tipico” negli ultimi anni? Non è stato un ritorno brennekiano, ma tanto meglio. Non avrei avuto la prontezza di fare pezzi miei così di botto.
Un po’ di contesto. Qualche mese fa il mio caro amico Walzer, che potreste conoscere come colui che andò a Persia's Got Talent a cantare Lascia Entrare Ascanio raggiungendo lo status di leggenda della viralità italiana, mi chiese di partecipare ad una serata su Bob Dylan per il suo format Carta Bianca.
Si tratta di una serie di concerti a tema con ospiti vari. Quale miglior modo di omaggiare gli 80 anni di Bobby, ci chiedemmo. Dunque eccoci lì una sera di luglio ai Canottieri San Cristoforo, sul Naviglio Grande, scaletta provata e chitarre in mano. E nuvolacce nere sulle nostre teste: mentre cenavamo, l’ardua sentenza dei grandi capi di annullare il concerto per maltempo.
I mesi successivi Walzer mi ha chiesto un sacco di volte di recuperare, ma io purtroppo per vari motivi non ci stavo proprio dentro. Scusa Waltz, devo anche essere stato un po’ sfuggente e irritante in quelle settimane. Ad ogni modo, alla fine siamo riusciti a buttarci a capofitto su quel 21 dicembre. Pronti via, nessuna prova in più, nessun consulto particolare. Semplicemente ci siamo dati appuntamento a quella sera, stessa scaletta, stesso show. Ovviamente più il giorno si avvicinava più avevo l’impressione che qualcosa potesse non quadrare.
Mr Omicron che fa la conoscenza del bel paese, la gente che si lancia nelle farmacie per tentare di normalizzare il secondo Natale assurdo di fila e tutti che escono sempre meno.
Insomma, arrivati a martedì era piuttosto scontato che il nostro live non poteva essere propriamente la greatest thing della notte milanese. Ce ne siamo sbattuti e abbiamo suonato ugualmente.
Come descrivere la composizione del pubblico? Beh era formato innanzitutto da noi, che essendo in due sul palco potevamo godere l’uno della performance dell’altro. Non è forse pubblico questo? Poi, per la prima parte del live ci sono stati due altri spettatori, per la seconda parte se ne sono aggiunti tre, per lo strabiliante numero di cinque in tutto.
Voi ridete, ma invece è stato un concerto che, specialmente nella seconda parte, ha avuto una sua poetica e un suo sviluppo a livello di climax. E poi ho suonato in passato davanti a pubblici minori (e non è una battuta eh, per davvero).
Il palco dei Canottieri sta esattamente di fianco alla parete dell’adiacente palestra. La parete in questione è completamente di vetro. Dunque mentre noi suonavamo le canzoni di Bob Dylan davanti a quasi nessuno, poco illuminati e sopra ad un palco, di fianco potevamo vedere i palestrati terminare i loro esercizi sulle panche e i tapis roulant. Mi azzardo a dire che nemmeno Sorrentino sia mai riuscito a concepire una scena paragonabile a questa cosa.
Nella sua assurda intimità la serata ha avuto momenti significativi. Waltz ha dovuto insistere un po’ con me soprattutto all’inizio, perché dopo ogni pezzo ero tentato di bere qualcosa e tornare a casa. Ma lui la vedeva in modo diverso: io mi domandavo perché suonare il concerto, lui si domandava perché non suonarlo. E dopo un po’, in effetti, mi sono accorto che la cosa aveva senso.
Più o meno questa è la scaletta che abbiamo fatto:
The Man In Me
Simple Twist of Fate
All Along The Watchtower
Girl from the North Country
I Don’t Believe You
Maggie’s Fam
If Not For You
Just Like A Woman
Lay Lady Lay
I’d Have You Anytime
Shelter From The Storm
Jokerman
Mr. Tambourine Man
Almeno metà set è stato ripetuto nuovamente perché ad un certo punto sono arrivati i tre personaggi di cui sopra. Ci siamo messi a parlare e il loro sincero coinvolgimento ha cambiato tutte le energie ed effettivamente il concerto si è trasformato da cazzeggio a momento con un suo valore più alto. A volte basta davvero poco per variare i binari di una esibizione, bisogna sempre essere pronti. Ecco perché tra suonare davanti a venti persone e davanti a quattrocento cambia tutto sommato poco a livello di consapevolezza interiore e di preparazione emotiva. Il che a volte è un problema, perché se il tuo cervello e il tuo corpo si settano sul suonare “di default” per una audience qualsiasi tanto vale sia ampia, o la parte restante di energia inespressa sarà generalmente riempita da un ospite che sul palco non è mai molto gradito: la frustrazione.
Una volta che sei sopra il palco, chiunque stia di fronte a te, le cose vuoi farle bene. E l’istinto a fare le cose bene davanti a due o tre persone crea un corto circuito difficile da padroneggiare. Perché cercare dentro di sé stessi quella concentrazione e quell’ossessività per il dettaglio, ti chiedi, se non c’è quasi a nessuno a condividere il momento? È quel quasi che ti frega sempre.
Non è stato comunque il caso di martedì sera. Complessivamente penso che abbiamo toccato, compresi quelli fatti più volte, circa i 20 pezzi, per due ore di concerto. Non ce ne siamo nemmeno accorti. Non sembra ma i pezzi di Dylan sono molto difficili da cantare, specialmente per la sillabazione e perché la sua voce è generalmente in tonalità medio alta. Alcuni pezzi erano assegnati a me, altri a Waltz e altri insieme. Non sono molto soddisfatto di come ho cantato ma ho sperimentato alcune soluzioni interessanti. Waltz è stato come sempre strepitoso, non lo so come fa a cantare così. Se bazzicherete a Milano andate a sentirlo: da qualche parte, lui starà suonando.
Alcuni momenti hanno significato molto per me. Nonostante in quel contesto non avessi più granché voglia di farla (perché è una delle mie preferite), Shelter From The Storm con gli inserti di armonica in Mi di Waltz è stata bellissima.
Jokerman è uno dei pezzi del quale non sono stato soddisfatto vocalmente ma erano anni che speravo di suonarla sul palco e spero sia stata solo la prima volta. All Along The Watchtower invece non la suonavo su un palco dall’estate del 2007! Giuro. Anzi a dire il vero fu addirittura il primo pezzo del primo concerto che io abbia mai fatto con una band.
Soprattutto sono stato felice di aver potuto suonare il pianoforte in qualcosa che somigliava ad uno show: non l’avevo mai fatto perché non mi sono mai ritenuto un pianista bravo, ma nemmeno medio, poco oltre lo zero tipo. L’ho suonato prima di tutto in If Not For You e poi nella bellissima parte finale del set.
Alla fine infatti è sbucato del tutto casualmente un piccolo inserto dedicato a George Harrison, che già aleggiava nella setlist in I’d Have You Anytime e nella stessa If Not For You. Dal nulla Waltz ha attaccato prima All Things Must Pass e poi Isn’t It’s A Pity.
Io non so come ho fatto a suonarle al piano, ne ricordavo vagamente gli accordi e ascoltando lui le ho tirate fuori. All Things Must Pass è stato un momento molto significativo, anche se eravamo appena in sette in tutto il posto. O forse soprattutto per quello.
C’era qualcosa di importante e di gioioso.
Se qualcuno avesse messo la testa dentro un locale sul naviglio in una freddissima notte milanese durante una pandemia mondiale, avrebbe visto due amici suonare delle canzoni di Bob Dylan e di George Harrison. Non basta questo per un buon Natale?
A presto e state bene,
Buon Natale,
Brennekedo