Esattamente 50 anni fa Phil Spector entrava in studio con John Lennon per registrare Power To The People. Ok, non proprio 50, era marzo, comunque dai siamo lì.
Il buon Phil, della cui vita forse avete letto qualcosa in questi ultimi giorni in seguito alla notizia improvvisa della sua morte a 81 anni per complicazioni legate al Covid, fu il genio della produzione che rivoluzionò di fatto la musica pop elevandola a forma d’arte. Prima di lui eccetera eccetera, *fate che ci sia un breve paragrafo con qualcosa sulla storia del rock di banale ma pomposo, stile Castaldo* (per approfondimenti vi consiglio comunque questo bellissimo articolo del sempre ottimissimo Demented Burrocacao).
Ecco, come è noto Spector era anche un grandissimo bastardo disturbato. Il mio aneddoto preferito in questo senso è di quando nel ‘77 sbronzissimo piantò la sua Calibro 45 di fronte alla testa di Leonard Cohen sussurrandogli «Sai che ti amo Leonard», mentre litigavano sulla lavorazione di Death of a Ladies’ Man. «Lo spero davvero, Phil» rispose Cohen. Poi Spector lo cacciò dallo studio e in pieno delirio finì il disco da solo. Ma ci sono altre storie di ottima qualità, come quando dopo aver praticamente segregato la moglie Ronnie tra sevizie psicologiche di ogni tipo per anni, le fece trovare un sentito regalo di Natale: due bambini adottati, comparsi in casa senza preavviso da un giorno all’altro.
Semplicemente Spector, la bussola persa in una follia inarrestabile, pensava che tutti gli appartenessero.
L’ha spiegata bene lo stesso Leonard Cohen, qualche anno dopo averci lavorato: «Phil non tollera altre ombre nelle sue tenebre».
Dopo una vita al limite, come era prevedibile alla fine una persona l’ha ammazzata davvero nel 2009, l’attrice Lana Clarkson, finendo in carcere a vita.
Come si sa il Nostro lavorò anche con i Beatles su Let It Be e il suo bel caratterino fu tra le cose che fecero scoppiare le pressioni che li portarono al definitivo scioglimento (ma c’è anche chi dice che l’esperienza coi Beatles fu talmente logorante che fu lì che la sua mente cedette definitivamente). Rimase comunque in ottimi rapporti con tutti loro tranne che con Paul.
Nel 1971, già bello carburato di pazzia, Spector lavorava giust’appunto di brutto con John Lennon, un altro che diciamocelo non era tutto in bolla. Infatti si trovavano benissimo l’uno con l’altro e crearono alcuni dei pezzi più celebri della storia. La prossima volta che ascoltate Imagine, inno al volemose bene, pensateci: quel suono di rullante l’ha tirato fuori uno che in studio teneva una balestra carica nel caso gli girasse di infilzare qualcuno a piacimento. Qui un esempio della bella atmosfera che si respirava in studio con questi due personaggi.
Un elemento preponderante nel Lennon di quegli anni era una passione da 5000 dollari a settimana condivisa alla grande con la sua inseparabile e ossessionante mogliettina Yoko Ono (ragazzi miei, che cumpa di disagiati): l’eroina da sniffare.
Il 20 marzo di quell’anno tutti questi bricconi, insieme ad una band superlativa, entrarono in studio e se ne uscirono con un pezzo roboante e piuttosto caotico di nome Power To The People, una canzone parecchio retorica (ma con un suono pazzesco) della quale lo stesso Lennon si vergognò un po’ qualche anno più tardi.
A million workers workin' for nothin'
You better give 'em what they really own
We got to put you down
When we come into town
John invocava le masse oppresse a prendersi il potere dal basso in una società che li voleva solo marginalizzare. Chissà per Nixon che bello sentirla alla radio.
Comunque, ormai lanciato su diversi fil rouge che comprendono eroina, instabilità mentale e lotta di classe, vado a bomba nel tema su cui ho riflettuto nelle ultime settimane.
Come molti anche io ho visto SanPa, la bellissima serie/documentario di Netflix sulla comunità di Vincenzo Muccioli. E come molti ne ho parlato diffusamente con un sacco di gente, ho letto recensioni, interviste, cercato altre notizie dell’epoca e altri punti di vista. insomma, ho tentato di immergermi un po’ in una storia che mi ha colpito moltissimo e della quale non conoscevo granché.
Tutti coloro che lo hanno visto e che sono nati pressapoco negli anni di cui tratta il documentario, come me, sono rimasti assolutamente sbigottiti soprattutto dal fatto che di San Patrignano e di Muccioli non hanno sentito granché parlare durante la loro crescita. Di eroina sì: le siringhe al parchetto e le conseguenti raccomandazioni a starci alla larga le ricorderete anche voi.
Probabilmente c’è stata una rimozione collettiva del personaggio Muccioli; perlomeno, le prove in nostro possesso ci spingono a pensarla così. Ed è molto interessante domandarsi, come hanno fatto in tanti, il perché di questa rimozione collettiva.
A me ha solleticato però anche un’altra riflessione: ora che abbiamo riportato alla luce questa storia sotterrata, perché ci fa questo effetto travolgente?
Perché rimuginare su quella assurda vicenda ci spacca il cervello in due?
Ci ho pensato e credo che la risposta sia che non esiste un tema più affascinante, misterioso e attuale, per noi, per quella generazione lì, del tema del potere.
Quella di San Patrignano è una grande storia sul potere.
Il potere di un uomo, il potere di una sostanza, il potere di una comunità, il potere della famiglia eccetera.
Ora non so cosa ne pensiate voi, ma io credo addirittura che le riflessioni sul senso del potere siano sostanzialmente il soggetto principale nella vita delle persone della mia generazione.
Qual è l’origine del potere? Cosa conferisce la legittimità del potere?
Credo sia per questo che SanPa ci si è ficcato in testa e non esce più.
Muccioli mi ha ricordato una persona che ho conosciuto.
Per un paio di estati, quando ero al liceo, io e mio cugino Lele, musicista come me, partecipammo ad un corso estivo di musica jazz organizzato da una grossa scuola di musica italiana. Noi non frequentavamo questa scuola, e partecipavamo ai seminari estivi solo come esterni.
Eravamo un gruppo di musicisti molto variegato e dalle età più diverse, più o meno tra i 16 e i 55 anni. La curatrice del progetto era una strepitosa cantante jazz che aveva la caratteristica di essere anche una insegnante di filosofie orientali. Avrà avuto 45 anni ed era, di fatto, una guru. Faceva stare spesso tutti in cerchio, ci guardava sempre fissi negli occhi, parlava in modo molto coinvolgente e magnetico. E ogni tanto, cambiava personalità. Quando si arrabbiava si scagliava verso i suoi allievi più fidati demolendoli verbalmente di fronte al gruppo, mettendoli gli uni contro gli altri, giudicandoli pesantemente, facendoli piangere o umiliandoli. Altre volte faceva meditare tutti in gruppo mentre si improvvisavano delle strane melodie arabeggianti. Per ore. Riusciva a creare delle energie di gruppo potentissime, alcune sue lezioni erano di fatto dei rituali.
Nonostante la perenne tensione che questa persona emanava, nessuno dei suoi allievi la odiava: al contrario. Tutti la veneravano, la amavano, ne erano in qualche modo dipendenti, le raccontavano la propria vita, si confidavano, esponendo i problemi nella gestione di vita con i compagni, mariti, figli. Per loro era una figura mistica, religiosa.
Con me e Lele, esterni e piccoletti, era molto corretta, la sua attenzione era tutta per le persone a cui insegnava abitualmente. Era molto difficile giudicare questa persona ma con mio discreto sollievo mi accorsi che non provavo nessun tipo di riverenza. Fu un’esperienza molto formativa per me, perché percepii per la prima volta l’energia controversa delle sette.
Muccioli mi ha riportato un po’ a quelle estati. E’ narrato come una personalità napoleonica, cesaropapistica, investito di un compito divino direttamente mandato da quello che lui considera Dio: sé stesso.
Indipendentemente dal parere che si può avere sui suoi meriti, sprigiona fascino e insieme repulsione. È l’incarnazione del mito di questi anni: sii il tuo più grande successo. Il prototipo di una figura che oggi qualsiasi manuale di auto-sarcazzo illustra con esaltazione: il Leader, quell’espressione anglo dittatoriale che piace agli imprenditori e ai venditori, il più delle volte scientologisti mancati.
Leader qua, leader là. A sentir loro, TUTTI dovremmo essere dei leader. Pena: la vergogna eterna. È qui che però nascono i problemi. Una società in cui tutti aspirano ad essere capo, che cavolo di società è?
Eh, esattamente la nostra amico mio.
Penso davvero spesso a questo tema, declinandolo in mille modi diversi. Negli ultimi anni quello che si sta perdendo è una chiarezza condivisa su cosa siano le istituzioni di potere e cosa no. Potere politico, potere giuridico, metteteci quello che volete.
Il risultato è che ognuno vive nella costante tensione tra cercare una fonte di potere “giusta” esterna alla quale potersi appellare in caso di necessità, e crearne una interna sprigionata direttamente da sé stesso o sé stessa e con la quale poter far valere (o prevalere) il proprio punto di vista. Mentre assistiamo allo sfaldamento di diritti che fino a pochi anni fa si davano per assodati, la principale caratteristica di noi trentenni o giù di lì è quella di lottare per guadagnare potere. Un neo Far West, con le pistole sempre cariche e i cavalli alla staccionata.
Un susseguirsi di iter sociali più o meno convenzionali che ognuno è chiamato a sfruttare a proprio vantaggio e a svantaggio degli altri, affinando le parole giuste, il tono di voce giusto, le movenze giuste, il look giusto.
I cosiddetti “diritti acquisiti” erano stati effettivamente acquisiti anni fa, ma non da noi. E oggi abbiamo una società in cui quanto ti devono pagare, per un lavoro subordinato o di qualsiasi altra natura, non lo stabilirà più un contratto collettivo ma la tua abilità personale nel dimostrare che quei soldi te li meriti.
Una società in cui è nostro diritto sudarci i nostri diritti.
Ed ecco che, non ce ne siamo manco accorti, dalla lotta di classe degli anni che furono ci siamo progressivamente ritrovati in un mondo in cui la capacità di manipolare il prossimo è diventato l’unico valore cardine della società. La tua capacità di trattativa definisce chi sei.
La manipolazione è diventata un merito.
La People di cui parlava Lennon, il suo Power non lo ha potuto esercitare granché per decenni, tra una politica che ingrezziva la cosa pubblica sempre più e il dominio delle mega aziende che si impadronivano lentamente dell’emotività di tutti noi.
E ta-dan: oggi ci ritroviamo a stimare gente come Steve Jobs o Mark Zuckerberg, o il pirla di Amazon o quello che vuole mettere i cavi nel cervello sottili come capelli e mandare la gente su Marte perché gli gira. E li stimiamo non perché abbiano fatto cose che ci smuovano e ci facciano stare meglio, ma perché con quelle cose (qualunque esse siano) ci sono diventati ricchi. E giusto in questi giorni l’Unione Europea fa a braccio di ferro con una società farmaceutica per la distribuzione di un farmaco durante una pandemia globale come se fossero enti ALLA PARI, capite? Qualcosa ci è sfuggito di mano.
Quando ero in terza o quarta liceo, venne a parlare a scuola l’ex partigiano Paride Brunetti detto Bruno, che era il nonno di un nostro compagno di classe. Aveva combattuto, creduto, e in un’occasione aveva anche ucciso, un ricordo che non nascondeva e che ancora lo metteva profondamente a disagio.
Ci parlò per quella che ricordo come una mattina intera piena zeppa di aneddoti incredibili. Verso la fine dell’incontro alzai la mano e feci una domanda. A dire il vero io non volevo farla, mi fu richiesto da qualcuno, perché i rappresentanti dell’intellighenzia di sinistra della scuola avevano già parlato tutti. «Frasso se alziamo di nuovo la mano noi non ci risponde più, chiedi tu se esiste ancora il fascismo in Italia», «Eh? Va beh, ok». Feci da portavoce di una curiosità altrui, ma ricordo ancora la risposta: «Non mi preoccuperei molto di quei gruppi che si definiscono oggi fascisti. Il fascismo da cui dovete guardarvi è quello insito nella società dei consumi e nel capitalismo». Era una frase che forse lì per lì sembrava quasi banale e invece a distanza di una quindicina d’anni la trovo di una potenza incredibile e di una verità che ogni giorno si rivela drammaticamente inarrestabile.
Le mega aziende sono più forti degli Stati e le persone sono invitate a trarre ispirazione proprio dai capi di quelle mega aziende lì, i vincenti tra i vincenti. Il risultato è piuttosto matematico: tutti sono indirizzati verso il sentirsi al di sopra di tutto. «Non vedo l’ora di litigare anche io con l’Unione Europea».
Gira e rigira è una questione di salute mentale.
Fateci caso le prossime volte che vi fanno subdolamente passare il messaggio che siete dei coglioni perché non siete abbastanza scaltri a vendere voi stessi, che di questo passo dove arrivate? Boh saranno affari vostri. E’ sano dover dimostrare continuamente al mondo che si è abbastanza bravi a manipolare gli altri? Che premi ci sono esattamente nell’aldilà per il miglior manipolatore?
Dio ha diffuso l’app cashback per la manipolazione? Se prima degli 80 anni manipoli almeno una persona a settimana hai la cuccetta paradiso vista via lattea. Ma solo se sei tra i primi 500.000.
Boh, è complicato.
Io non l’ho mai visto un periodo della storia dell’umanità in cui la manipolazione e l’esercizio del potere siano stati un tema più preponderante di oggi. E grazie al cazzo, perché ho letteralmente visto solo questo, di periodo. Il che mi da da pensare: ma che ne so? E se l’esercizio alla manipolazione sia una costante di OGNI periodo dell’umanità? Che mi direbbe l’amico Machiavelli?
Parafrasando liberamente il buon Edoardo Gabbriellini in Ovosodo: «Manipolazione? È questo? Mi sembra più che altro la società. La società è manipolazione? Riflettere».
Continuo a credere comunque che forse abbiamo smarrito un attimino il significato di quel mantra tanto caro al vecchio John Lennon. Mi sa che Power to The People si è trasformato in Power to me per fregare il resto della People.
Quindi i my two cents sono che oggi col power ci potremmo anche andare piano, che ci si fa male. Mettilo giù. Ti prego, posa quel power, non fare cazzate. Ecco bravo.
Ripenso a Phil Spector. Era un genio vero. Aveva una sensibilità travolgente e una visione che al mondo dava molto più di quel che chiedeva. Ma poi è rimasto convinto davvero che, sì, lui era al di sopra di tutto e di tutti, della comunità, delle leggi degli uomini e dell’universo. E non riteneva possibile che qualcuno potesse anche solo pensare che non fosse lassù, da ammirare, contemplare e temere. Alla fine ha preso una pistola e ha sparato, perché non ci capiva più niente nemmeno lui.
VARIE SETTIMANALI:
A proposito di SanPa, consiglio sul tema un video molto interessante che vidi qualche anno fa e che sono andato a ricercarmi. Ha come protagonisti uno di coloro che hanno rifiutato di apparire nella serie (Piero Villaggio, figlio di Paolo ed ex ospite della comunità) e uno che invece fa il gallo cedrone tutto il tempo, l’incontenibile Red Ronnie. Lo trovate a questo link (per qualche motivo è stato tolto dall’indicizzazione di You Tube). Red riesce ad essere inopportuno ogni volta che apre bocca, praticamente è un lungo sketch di Valerio Lundini.
A proposito di Valerio Lundini, ho riso tantissimo vedendo questo.
Ho trovato un progetto interessante di qualche anno fa. È un tipo che scatta foto con esposizioni lunghissime ai film. Così guardando una sola foto puoi vederti un film intero, è comodo.
Infine ho scoperto questo disco live di Johnny Marr del 2015. Non sapevo che avesse fatto un live, alcuni suoi pezzi solisti ci fanno proprio un figurone, senza nulla di meno delle gemme degli Smiths, e lui canta pure benissimo. Lo trovo perfino più bello di quello di Morrissey di dieci anni prima, tiè. A proposito, sapevate che Johnny Marr nel 2013 ha fatto una canzone di nome Lockdown? Avrei voluto scoprirlo nel 2020.
Ho terminato, oggi è venuta fuori la POLITICA, doveva succedere. In realtà questa newsletter è un diversivo per attrarre gradualmente gente dentro al manifesto programmatico del mio partito, che si chiamerà Ragnatele, sarà per una burocrazia impazzita in una ragnatela sempre più opprimente e per mantenere eternamente le istituzioni e gli status quo decrepiti e impolverati del nostro bel paese. A parte gli scherzi, per me vinco. Governo Frasso come lo vedete? Che poi come funziona, si manda un CV?
Ci vediamo presto amici,
Mi manca suonare.
Brennekedo