Trovo la musica pop di oggi di una piattezza senza senso. Ogni volta che cerco di ascoltare o capire qualcosa di quella roba che gira in radio sento sempre solo il suono della compiacenza. Ste voci perfette, sti accordi telefonatissimi costruiti sul ciclo delle quinte, le melodie che si somigliano tutte. Al di là del pop nostrano, che il più delle volte fa semplicemente ridere, è soprattutto quello internazionale che soffre di sta sindrome da fotocopia. Ultimamente si parla sempre più spesso della possibilità che quel genere di hit possano da qui a breve essere scritte dalle intelligenze artificiali: ma magari! Mi pare che gli esseri umani non aggiungano più molto al filone.
Fatto che un po’ di giorni fa stavo in auto ad annoiarmi tranquillamente ed è partito questo pezzo assurdo.
Di una bellezza assolutamente sovrannaturale. L’ennesima prova che non si esce vivi dagli anni Ottanta, ma praticamente un gomitolo dei riferimenti migliori di quel decennio mescolati insieme. Sembra un insieme di I’m On Fire di Bruce Springsteen (anzi di tutto il Bruce di Born In The USA), In Your Eyes di Peter Gabriel, Time To Go On di Tom Petty (che in realtà è del ’94 ma vale lo stesso) e chissà quanta altra roba. E su tutto questo innesto c’è la voce di Sam Fender che crea una virata curiosamente soul. E poi c’è quel finale di sassofono maestoso. Mi ha spaccato il cervello, se il pop radiofonico di oggi può essere questa cosa qui, nulla da dire.
Sempre in macchina un po’ di giorni fa è partita Never My Love dei The Association. Mentre la ascoltavo ho pensato “Ma allora E Dimmi Che Non Vuoi Morire di Patti Pravo è una cover”. Arrivato a casa ho indagato e in effetti no: è semplicemente un plagio. Non può essere un caso, è davvero eclatante. Resto sempre sorpreso da quanto oltre si siano spinti gli autori italiani nel plagiare spudoratamente brani stranieri. Nella storia della musica esiste un modo di plagiare elegante, interessante. Ma il modo di plagiare degli italiani si distingue per essere proprio becero, senza classe, senza guizzo.
Il pezzo in questione è pure dell’accoppiata Currieri/Vasco, un duo che in quanto a ispirazione non ha mai avuto grossi problemi. Mah.
L’altro giorno sono stato alla motorizzazione di Milano (che in realtà è praticamente a Rho, boh) ed è stato folle. È un edificio del tutto fatiscente, solo guardandolo ci si sente svuotati della propria personalità. Passando di fronte alla sala dove si fanno gli esami di teoria c’era un’ansia che sembrava quasi di essere uno di quei poveri diciottenni.
Dentro è ancora peggio. C’è gente con la bava alla bocca che grida ai poveracci dello sportello e questi rispondono tranquillissimi creando un effetto del tutto sbilanciato, come se fosse la cosa più normale del mondo. Evidentemente per loro lo è.
Appena dopo l’ingresso, un tizio accoglieva le persone dicendo che gli sportelli erano chiusi. Alle 11 del mattino, ottimo. In realtà alcuni non lo erano, mi sono procurato un ticket, ma poi non serviva perché i segnali dei numeri erano spenti. Era l’assoluta anarchia. Una signora dell’est Europa urlava che non poteva guidare da un mese per un’attesa burocratica che in Germania le era durata un giorno appena e non sapeva come andare al lavoro. Un’imprenditrice (curiosamente sempre dell’est) si esibiva subito dopo in una scena simile. Di fianco a me un ragazzo della mia età scopriva con sconforto che anch’egli non poteva guidare per un tempo spropositato per un errore burocratico fuori dal controllo di chiunque. Ogni sogno italiano va a infrangersi in motorizzazione. Bisognerebbe ambientarvi una serie crime.
Ho scoperto che curiosamente a Masterchef quest’anno ci sono i Verdena:
Ho sintetizzato questo assioma: se subito fuori dalla porta di un bar ci sono soggetti che fumano o telefonano c’è l’80% di possibilità che il bar sia una merda.
Una mia collega, tornati a scuola dopo le vacanze di Natale, si è rivolta a me con grande convinzione chiamandomi Federico. Ci incrociamo a volte ma non lavoriamo direttamente insieme quindi ci sta che non ricordi il mio nome. Ho cercato di risolvere immediatamente l’equivoco correggendo con voce divertita ma calma. Lei…non ha recepito. Non ha sentito la frase, non l’ha registrata. Io non ho più avuto il tempismo di proseguire nel mio aggiustamento e ha continuato a parlare ai bambini riferendosi a me come “il maestro Federico”. Sono passate già diverse settimane e mi imbarazza troppo dirglielo adesso. Ho preso dunque contatti con l’anagrafe per cambiare nome.
Sono uscite un po’ di recensioni di Ogni Mai Più (Vol. 1) e la cosa mi fa molto piacere: Infinite-Jest, Indie Italia Mag, Raduni, Traks, Music Voltage.
Sono tante!
Mercoledì mi ribattezzo alle divinità del palcoscenico a Mosso, Milano.
La mia nuova band è quasi una frankenstein di tutte le band che Brenneke abbia avuto e ne sono davvero orgogliosissimo.
Alla chitarra e tastiere e suonini c’è Alfred, aka Mammaliturchi. Abbiamo già condiviso il palco a novembre nella Vetrodischi Ensemble e siamo amici da ormai due anni. Ogni poco tempo scopro un suo talento musicale che ignoravo.
Alla basso c’è Dani, che ha suonato con me in tutti i live di Nessuno Lo Deve Sapere ed è un fondamentale pilastro e consigliere. È sua la voce all’inizio de La Vita Immaginata che dice “Ho una cattiva influenza su di te”. In realtà è l’esatto opposto.
Alla batteria c’è Pep, il mio primo storico batterista. Dal 2013 al 2017 abbiamo suonato a ogni live in band di Brenneke. Sentire di nuovo il suo piede destro sulla cassa in sala prove è stata una macchina del tempo assurda e emozionante.
Non esagero nel dire che la prima volta che abbiamo suonato tutti e quattro insieme, giuro, sembrava suonassimo insieme da sempre. Ed era pure la prima volta che si vedevano tra loro. Magia.
Il concerto di mercoledì sarà una cosa elettrica, distorta, disordinata, eccedente, inquinata, sensitiva.
Wow!