Dov’è la musica mentre nessuna entità animata o inanimata la sta ascoltando?
Se ci pensate è ben strano. Non intendo tipo la storia del dilemma degli alberi che cadono nel bosco senza fare rumore, avete presente quella massima zen? In realtà non è zen, è una cosa formulata da un tizio di nome George Berkeley. In pratica lui sosteneva che un albero che cade senza essere udito da nessuno non fa rumore, perché il rumore è una nostra interpretazione del reale, è la traduzione nella mente di alcune specifiche vibrazioni attraverso i padiglioni auricolari. Lo capisco ma, anche se nessuno le sente, le vibrazioni del fenomeno che chiamiamo rumore sono lì per essere percepite dall’ambiente circostante. A disposizione di qualunque altra manifestazione del reale che possa percepirle: stanno accadendo.
Quindi non mi convince, possiamo non definirlo rumore ma esiste un principio fisico che, zen o non zen, si attua da sé.
E ad ogni modo non mi riferivo a quello, solita digressione inutile.
No, intendo: dove si trova realmente la musica quando non risuona da nessuna parte in nessun anfratto della dimensione a noi disponibile?
Sembra una domanda stupida, invece è interessante se analizzata.
È un problema che non esiste con nessun altro senso percepito, direi.
Un muro mentre nessuno lo guarda è sempre un muro e vale lo stesso con tutto ciò che rientra nella definizione umana di concreto. Un libro mentre nessuno lo legge? È lì dentro le sue pagine, bello tranquillo. Senza dover rendere conto a nessuno si fa gli affari propri ma c’è, è carta e inchiostro stampato. Magari per un insetto non è un libro ma ci cammina comunque sopra. Ci sono delle molecole che creano una struttura complessa. Un quadro mentre nessuno lo vede? Rimane lì nella sua cornice, nell’inattuabilità di farsi osservare, luce o buio che sia. Un film mentre nessuno lo guarda? Ecco questo è un po’ più complesso ma anche qui una traccia effettiva nel reale c’è. Oggi magari non è più tanto diffuso ma un tempo un film stava dentro un insieme di fotogrammi stampati sui nastri plastici dei VHS, molto dannosi per l’ambiente e che alla prima nostra distrazione facevano di tutto per avvinghiarsi come boa constrictor dentro agli ingranaggi del videoregistratore. Ci tengo a sottolineare che ora, in questo momento, mentre lo scrivevo, non ricordavo il nome del videoregistratore. Mi sono proprio chiesto: il coso dei VHS come cavolo si chiamava? Se qualcuno avesse detto al me bambino: sai che un giorno dimenticherai il nome del videoregistratore?
Comunque…Pensiamo ad altri sensi. Prendiamo un profumo. Se nessuno lo sta sentendo non esiste? Magari non esiste quello che da umani denomineremmo profumo, ma le molecole che lo compongono sono lì cavolo. Magari una pianta non lo chiamerebbe profumo, lo chiamerebbe…boh, acqua strana. Ma se spruzzi un profumo su una pianta, percepirà che c’è qualcosa di diverso dall’acqua. La sua parte cosciente dirà «Ma che cazz».
La musica continua ad essere diversa. Buttiamoci ancora nell’analogico: in un vinile c’è direttamente la musica? No, ci sono dei solchi dentro un derivato del petrolio che se percorsi da un pezzo di ferro la fanno saltare fuori. Quando un vinile se ne sta tranquillo dentro la sua custodia la musica non c’è proprio. Non è che esiste celata da chi non la può sentire: in quel momento non “è” nulla.
È dunque difficile pensare a dove sia la musica mentre nessuno la sta ascoltando. Certe leggi della logica ci spingerebbero a pensare che non sia da nessuna parte in quel momento. Eppure voi lo sapete, lo spergiurate che da qualche parte deve essere, perché ricordate della sua esistenza. Viene più facile pensare che esiste e si è semplicemente nascosta. Somiglia un po’ al fuoco, solo che il fuoco spunta sempre diverso, sempre nuovo. Una canzone che conoscete bene, ed è un’altra cosa che mi fa sbarellare, dopo che è taciuta per un po’, che è scomparsa, quando torna è sempre identica a prima.
Immaginate ora che ci sia una canzone famosissima che incredibilmente per un’ora e mezza non viene ascoltata da nessuno in tutto il mondo. Un lasso di tempo durante il quale è una canzone estinta, una canzone-dodo. È esistita prima, ma in quel momento è solo un segreto condiviso, qualcosa che qualcuno vi giurerebbe essere avvenuto ma del quale tecnicamente non esiste più un vero testimone diretto. Questo tornerà ad esserci solo nella persona che la riascolterà, e solo durante il lasso di tempo della sua durata. Ecco per l’appunto, ma la musica praticamente è il tempo? Non direi, il tempo casomai è ciò che la contiene.
Forse è così allora: la musica è una versione ingegneristica del tempo. È tempo travestito da qualcosa che vuole lasciare traccia, come se esistesse un distaccamento di separatisti dal panta rei che dicono: «Noi non scorriamo inerti, noi cerchiamo di imporci, ve la facciamo vedere, lasciamo un segno». Questi separatisti sono dei graffitari che si mettono tutti insieme e imbrattano il tempo che scorre con la musica. È un momento di massa finalmente sporcata di colore, una specie di macchia umana sull’enorme barriera che altrimenti scorrerebbe silenziosa sopra, sotto, attorno e dentro di noi.
Ultimamente sono preso benissimo dalla fisica. Non ci capisco ovviamente niente. Quando ero al liceo nelle verifiche di fisica mi nascondevo le formule ovunque: sono arrivato a scrivermele piccolissime sulla gomma, addirittura a nasconderle nella bic. Il fatto è che tanto poi non le sapevo applicare quindi prendevo comunque 4. Il mio prof di matematica e fisica era una specie di Alan Turing senza Seconda Guerra Mondiale. Le sufficienze che ho preso con lui si contano sulle dita di UNA mano, tuttavia a ripensarci lo stimo molto. Mi piaceva il suo stile asciutto e rivolto solo al risultato, tipo: «Ti do un altro 3, ma non c’è nulla di personale». E non c’era davvero. Tutto sommato penso che gli fossi simpatico.
Ma sapete che razza di risultati si raggiungono nella fisica oggi? Le nano tecnologie sono una roba da pazzi, robot grandi come microbi che possono fare roba in giro per il corpo, super materiali che agiscono in modo intelligente. Vetri per auto che non hanno bisogno di tergicristalli perché rifiutano l’acqua. Cioè dei vetri idrofobi capito? O ancora molecole che si assemblano da sole per creare sistemi strutturatissimi che memorizzano forme intricate. Insomma non mi interessava per niente la fisica al liceo ma oggi, anche se continuo a non capirci un cavolo, credo che sia una figata.
Infatti sto pensando che questa definizione della musica come versione ingegneristica del tempo mi piace sempre di più.
Ok, ammettiamo di poter avere anche capito cosa sia quando c’è. Rimane il dilemma di dove sia la musica quando non risuona. Intanto lo stesso verbo prevede una reiterazione dopo una pausa. Ri-suonare: suonare di nuovo. La musica esiste in funzione del fatto che cessa ma poi riprende?
Quando suona di nuovo è esattamente uguale alla volta precedente. Poi ancora e poi ancora. In mezzo il silenzio e l’estinzione, e ogni volta la rinascita. È una perenne rigenerazione, che attecchisce esclusivamente nelle nostre menti. È un bel pensiero. La musica è pura filosofia, un’idea inafferrabile, di incomprensibile natura. Quando tace è solo un ricordo. Quando scorre è una conferma. Una conferma del fatto che mentre taceva era sempre stata da nessuna parte: quindi ovunque. E se l’ovunque è un concetto che potrebbe trascendere la nostra dimensione, dobbiamo pensare (intuizione filosofico/fisica, questa, abbozzata da uno che si scriveva le formule sulla gomma), che la musica quando non è con noi può trovarsi in qualunque tipologia di dimensione. È l’unica cosa che quando non c’è può nascondersi nei misteri dell’universo, del macro e del micro, dell’eternità, di quel che in una visione molto ridotta chiamiamo divino, spirito, cose così. Esiste una forma di energia in tutta sta roba? Se esiste e la musica ne entra in contatto, poi possiamo dedurre che torni a noi dopo avere assorbito parte di questa energia, che non è di questo mondo né di questa realtà?
Certo, torna sempre identica e imperturbabile ma portandoci inconsapevolmente ogni volta qualche segreto eterno che possiamo solo intuire. Tutto ciò che c’è al di là del tempo, al di là della finitezza che per nostra natura applichiamo a tutte le cose.
Per brevità tendiamo appunto a chiamare queste intuizioni sul creato, queste percezioni sull’eterno con nomi finiti: emozioni, sensazioni, feeling, mood. Nulla che davvero riesca a cogliere quello che non può essere nominato.
In questo senso la musica somiglia ad una parabola che comprende tutto. Parte dall’uomo, continua nella realtà percepita della natura e in quella intellettualizzata della mente, usa il tempo, ne attua una modulazione ingegneristica con l’applicazione dei principi della fisica, scompare viaggiando nei misteri dell’universo e dello spirito, torna all’uomo trasportandone alcune tracce e tutto ricomincia.
È buffo perché mi sto accorgendo solo ora (giuro, appena dopo aver finito di scrivere queste righe) che tutta questa roba vagava forse senza chiarezza nella mia mente quando ho scritto il primo verso di una canzone di nome Compleanno.
Un’altra piccola prova forse che questo sistema antico e insondabile agisce spontaneamente e noi lo sappiamo da sempre anche se non lo comprendiamo. O forse lo comprendiamo da sempre anche se non lo sappiamo. Vale ora che il mistero ingegneristico della musica è soprattutto un impulso digitale e valeva prima, quando si ascoltavano le cassette sul…com’è che si chiamava quell’affare per ascoltare le cassette con le cuffie?
A presto,
Brennekedo