Questa è la puntata della newsletter di Natale.
Di questo strano, stupido, confuso, surreale Natale.
Non ve lo aspettavate eh? Faccio il burbero ma sotto sotto lo spirito natalizio fa sempre breccia in me (non è vero).
Inoltre a dicembre non solo c’è il Natale ma c’è anche la fine dell’anno. A volte è un purtroppo e a volte, come quest’anno, è un finalmente.
E quale miglior modo di festeggiare una fine se non raccontando un inizio? Quale miglior modo di rispettare l’atmosfera natalizia se non scegliendo proprio un inizio dicembrino?
Oggi vi racconto dunque la regina delle mie prime volte musicali.
La prima volta che sono salito su un palco sotto il nome di Brenneke era proprio un dicembre come questo. Per la precisione era il 5 dicembre del 2013.
Oddio, a ben pensarci non era esattamente come questo, faceva molto più freddo e le persone potevano addirittura uscire di casa, pensate. Raccontarlo oggi risulta assurdo ma all’epoca era normale e accettato fare cose come MOSTRARE LA BOCCA. Mi mette a disagio solo pensarlo.
Quel 2013 era stato un anno parecchio determinante. In estate la mia avventura con Il Fieno era ufficialmente giunta al termine dopo circa quattro anni. Un’epoca di cambi di formazioni e di rotte, di idee, concerti, viaggi, prove. Negli anni avevamo scritto e registrato tanto e come tutti i gruppi eravamo evoluti e cambiati senza che fossimo in grado di controllare il processo. Le evoluzioni non erano coincise però con le inclinazioni personali. Forse avevamo riversato troppe ambizioni in quel gruppo, non lo so. Io volevo spostare definitivamente il nostro sound dentro ad un miscuglio di canzoni italiane coraggiose, ritmiche hip hop, suoni psichedelici e chitarre jingle jangle. Ma non riuscivamo più a comunicare l’un l’altro, e unire gli intenti di quattro diverse teste pensanti senza essere in grado di parlare insieme, sapete, è molto difficile.
Da ottobre 2012 in poi non eravamo più riusciti a scrivere nuova musica. Qualcosa doveva cambiare, per me era chiarissimo e io sentivo davvero di non avere più nulla da dare a quel progetto. Non nascondevo agli altri il mio disagio, sapevamo tutti che le cose non funzionavano. Una sera al Passaparola (storico locale di Busto Arsizio che purtroppo non esiste più, celebre per le bottiglie di sangue di giuda e i maxi toast) ufficializzammo il mio abbandono.
Decisi di comunicarlo sui social della band con un aforisma tratto da un verso di Bob Dylan: «Chi non è impegnato a nascere, è impegnato a morire». Gli altri lo trovarono un po’ eccessivo ma io la ritenevo una iniezione di coraggio significativa.
In quei mesi stavo infatti lavorando con Teo ad un EP di tre canzoni la cui uscita, avevo deciso, avrebbe sancito il mio definitivo buttarmi nella «scena» come Brenneke, ossia un’entità solista che cantava e scriveva e non più una parte di un gruppo. Erano diversi anni che avevo creato questo progetto, ma mi limitavo a pubblicare una canzone ogni tanto, per i miei amici. Per me era importante ma lo avevo sempre tenuto da parte perché mi mancava il coraggio di espormi così tanto. Era quindi in fin dei conti una questione di coraggio.
Quella frase straordinaria di Dylan riassumeva il senso della creatività e forse dell’esistenza. Vivere o morire erano a quel punto le due effettive opzioni del mio io musicale. Il punto era semplice. Ricordate di quando descrivevo cose come il panico da palcoscenico e le difficoltà nel considerarsi artisti? Ecco, immaginate come doveva essere prima di averlo fatto. Non ero sicuro che l’avrei superato.
Certo, avevo anni di esperienza come chitarrista. Ma era un campionato totalmente diverso. Avevo imparato benissimo ad essere «Il chitarrista di», era un ruolo che avevo costruito. Essere il fulcro di tutto, essere uno che sale sul palco, canta le sue canzoni e guida la sua band era realmente un ripartire da zero. Che inoltre era il titolo della prima canzone da me scritta qualche anno prima. Tutto tornava.
L’ultimo concerto de Il Fieno con me in formazione avvenne in un piccolo festival alle porte di Milano, forse a Rho ma non ci metterei la mano sul fuoco. Nel pomeriggio Ale venne a prendermi e appena ripartiti da casa mia svoltato l’angolo, ve lo giuro, ci si parò di fronte un piccolo trattore che trainava decine di balle di fieno. A volte la vita è come po’ come quegli amici che fanno sempre battute idiote e non ne puoi più e all’ennesima, quando sei colmo, ridi.
Suonammo acustici su un piccolo palchetto e, mi sembra di ricordare, eravamo posizionati tutti e quattro in fila su una lunga panca. Era piuttosto surreale e fu un’uscita di scena più divertente che commovente. Non fu comunque l’ultimissima volta che suonammo insieme, ma in quel momento non potevamo saperlo (loro hanno poi proseguito diverso tempo, e da poco Gab è tornato con questa bellissima canzone sotto il nome di PONY).
Quella sera al ritorno regalai ad Ale un cd masterizzato di Youth Lagoon e andai a dormire chiedendomi: stasera ho suonato l’ultimo concerto della mia vita? O avrò il coraggio di prendere le cose in mano e far ripartire tutta una nuova vita artistica?
Il resto di quell’estate lo trascorsi soprattutto a studiare per esami che presumevo non sarei riuscito a dare. Più volte pensai che forse così come gli esami non sarei nemmeno riuscito a rimettere piede sul palco, a cantare in un microfono e a presentarmi come il Brenneke che pensavo di NON essere.
Intanto però l’EP che stavo finendo con Teo era un appiglio che mi manteneva attivo. Era formato da tre canzoni, Ragnatele, I Misteriosi Ragazzi Delle Più Belle Della Classe e Piscine. La sua genesi, tanto per cambiare, non fu troppo lineare e raccontarla ora creerebbe una deviazione troppo lunga.
Quello che posso dire però è che a settembre Brenneke EP era finito e lo buttai fuori. Lo misi su YouTube e Soundcloud e mi avvalsi di una massiccia serie di post su Facebook. Non era il più grande dispiegamento di comunicazione del mondo ma era ok.
Ero felice che le mie nuove canzoni, ben prodotte, mixate e registrate, potessero finalmente essere ascoltate da tutti. Nel mentre cercavo di lavorare su me stesso per portarle sul palco. Fu allora che arrivò una spinta dall’esterno.
Un mio amico di nome Gno era all’epoca cantante di un gruppo di nome Galleria Margò. Accadde che mi mise in apertura di un loro concerto a Busto Arsizio previsto per dicembre. Non è proprio che me lo chiese: lo fece e basta. «Ti ho messo in apertura», «Gno ma sei sicuro?», «Sì, tu quella sera ci apri, vieni». L’opera di convincimento era compiuta. Ad oggi gli sono ancora grato per quella terapia d’urto. Non dovevo più decidere se tornare su un palco o no: ci sarei tornato, ero stato sollevato dalla pesantezza di questa decisione. Gno aveva una certa risolutezza imprenditoriale. Qualche anno dopo l’avrebbe messa discretamente a frutto creando una piccola etichetta di nome Maciste Dischi.
Proprio in quei giorni iniziai a provare con una band per la prima volta le mie nuove canzoni. Oltre al fido Teo alla batteria, chiesi ad un mio amico di vecchia data di unirsi in formazione: Fry. Ci conoscevamo da un bel po’ di anni, lui era il frontman di una band punk di nome Crom Invasion, suonava svariati strumenti e cantava alla grande. E inoltre, Fry era sempre una persona positiva e pratica. Mentre io ero un fascio di dubbi, lui prendeva sempre le situazioni in mano e le affrontava: sentivo di aver bisogno di lui. Lo chiamai come bassista ma ci capimmo male e la prima volta che ci ritrovammo in saletta si presentò con la chitarra, come me. Ridemmo un sacco e le prime prove di Brenneke furono suonate con due chitarristi e un batterista.
Avevo sviluppato una strategia per trovare il coraggio di esibirmi dal vivo. In quegli anni ero ossessionato dalle possibilità offerte dal mondo delle loop station e ne avevo comprata una. Amalgamare strati di suoni in tempo reale per costruire delle architetture sonore sulle quali far scivolare le canzoni, ecco il mio obbiettivo. Volevo creare un’ambientazione sonora simile a quella di Andrew Bird e di Martin Dosh, ma che che si basasse sulla chitarra. Un sacco di propositi sperimentali interessanti e ambiziosi che avevano un unico grande scopo di fondo: distrarre il pubblico dal fatto che non sapevo cantare.
Non era un universo sonoro immediato per una band, di certo nulla che si potesse imparare in una sera. Le prime prove cercavamo di stare dietro a quel pedale maledetto con loop creati senza un click definito, seguendoli senza nessun metronomo di riferimento e ascoltandoli solo dal mio amplificatore. Chi di voi è un musicista sa che fare questa cosa in queste modalità è possibile solo in un caso: con anni di pratica insieme. Noi avevamo un paio di mesi. I pezzi non giravano e iniziavo a preoccuparmi. Una sera entrai in saletta, montai i pedali, presi la loop station e cercai l’alimentatore. L’avevo dimenticato a casa. Borbottai un po’ ma iniziammo a suonare così, senza le diavolerie elettroniche sulle quali volevo costruire l’intero concetto del live. Facemmo il primo pezzo e…usciva meglio. Il secondo, anche. E così via gli altri. «Ragazzi…esce tutto meglio così». Ed ecco che le mie ambizioni sperimentali si infransero con il fatto che eravamo un power trio assolutamente efficace e sapevamo suonare le canzoni come avevamo sempre fatto nelle rispettive band. Spontaneamente. Oramai non avevo più scuse per nascondermi (la loop station l’avrei recuperata più avanti). Sul palco ci saremmo stati solo io, la mia band e le mie canzoni.
Nonostante negli anni avessi già scritto e fatto uscire diversi pezzi, per quel debutto snobbai completamente La Pioggia, Le Cose Lucenti, Zero e Tunnel. Come se non le avessi mai scritte. A ripensarci ora, che cavolo avevo in testa? Ci concentrammo solo sui tre brani dell’EP con in aggiunta la vecchia Camden. In più risposi ad un richiamo misterioso nella mia testa per lasciare qualcosa di più quella sera.
Non so dove mi venne l’idea, ma qualcosa mi disse che dovevo aprire il mio primo concerto da solista cantando In My Life dei Beatles. Era un brano che mi piaceva molto, tuttavia non avevo mai provato nei suoi confronti un attaccamento particolare, non come altre canzoni dei Beatles almeno. Seguii però questa linea della mia mente e preparammo una versione del pezzo.
Il debutto avvenne al Code Club di Busto Arsizio, un posto non molto distante da casa mia, dove avevo già suonato più volte e che frequentavo occasionalmente.
La presenza della Galleria Margò fu incerta fino all’ultimo perché Gno il giorno prima aveva avuto una potentissima influenza, ma ce la fecero. Faceva davvero freddo e ricordo che dovetti ripassare da casa al pomeriggio perché avevo dimenticato la tracolla. Ero agitato ma nemmeno troppo. Mi sentivo più in un limbo sospeso, una sensazione che ricordo non con dispiacere.
C’erano tantissime persone, praticamente tutti i miei amici. Questa fu la scaletta esatta che suonammo:
In My Life
Piscine
I Misteriosi Ragazzi Delle Più Belle Della Classe
Ragnatele
Camden
Piscine
Suonammo Piscine anche come bis perché qualcuno ne richiese uno e in effetti non avevamo altri pezzi.
Non credo che fu un concerto memorabile in sé e per sé.
Ma ci fu. Quello era l’unico elemento che contava. Mi sentivo al settimo cielo perché avevo davvero la prova concreta che la mia vita musicale non era finita. Ma anzi, stava iniziando.
E se ripenso oggi a quella sera, a me sembra davvero l’inizio di tutto. Mi sembra anche l’inizio di quello che avevo già fatto fino a quel momento.
Anzi, ho capito quella volta che non sempre gli inizi delle cose sono temporalmente posizionati all’inizio. Io nella musica avevo già intrapreso un viaggio che a quel punto durava da diverso tempo.
E alla fine di quel viaggio ero arrivato ad iniziarlo.
Da quel concerto non esistono foto che io sappia ma esiste una testimonianza girata dal leggendario Tino (in quegli anni il mio biografo ufficiale), che guardo ancora con piacere. Quell’inserto finale di armonica a Camden è una tradizione che poi ho mantenuto per anni.
Tornato a casa, quella sera, scoprii che era morto Nelson Mandela.
Dopo quel concerto Teo preferì non rimanere membro fisso della formazione. Avremmo ripreso a suonare stabilmente insieme solo molti anni dopo. A me e a Fry si unì qualche tempo dopo il batterista Pep Musto, che mi aveva presentato anni prima Elton Novara. Quella formazione sarebbe durata anni!
There are places I'll remember
All my life, though some have changed
Some forever, not for better
Some have gone, and some remain
Per tutto quel dicembre mi frullò in testa In My Life dei Beatles e divenne una delle mie canzoni di Natale. È un brano che parla di passato ma per me si era trasformata in una canzone che parlava di nascita, di futuro e di speranza.
Rimase un pezzo più o meno fisso dei live per diverso tempo e esattamente un anno dopo a quel primo concerto, nel dicembre 2014, ne registrai una versione casalinga e la pubblicai su YouTube proprio la mattina del Natale.
Avevo privatizzato la pagina vario tempo fa, ma ho recuperato il link e l’ho reso ascoltabile solo per voi. Era una versione abbastanza fedele a quella che facevamo dal vivo. E’ piuttosto lo-fi e ha un mix abbastanza incerto ma riascoltata dopo tanti anni devo dire che mi piace davvero un sacco.
È finita la mia storia di Natale. Grazie per averla letta.
Ora, è tempo di bilanci annuali e seppur questo 2020 sia stato un anno di grande stasi devo dire che sono successe al Brenneke che è in me alcune cose interessanti. Il 2020? Ha fatto anche cose buone.
Voglio ripercorrerle, con l’augurio che possa esservi di ispirazione per ricordare le vostre:
- L’ultimo mio concerto dell’anno è stato il 7 marzo al Base di Milano, in un evento di nome Milano Suona Ora. È stato, credo, il primo evento ufficiale in streaming causa Covid di tutta Italia e c’eravamo io, Il Triangolo con Elton Novara, Generic Animal, Nikki e Auroro Borealo. Non posso dire fosse una circostanza felice, erano i primi giorni di angoscia vera, ma è qualcosa che non dimenticherò.
- Nei giorni peggiori del primo lockdown io e il mio super fratello Francesco Tosi abbiamo creato un disco a distanza per esorcizzare quella sensazione che stava opprimendo tutti. E’ così nato Mutare dei Secolar, di cui siamo fierissimi. Lo abbiamo messo in offerta libera su Bandcamp e tutto il ricavato (non poco, qualche centinaio di euro!) è andato a Superbergamo, progetto di volontariato in prima linea nel supportare le città della provincia di Bergamo nell’emergenza sanitaria.
- Nello stesso periodo ho contribuito con una strofa ad una canzone di nome Stay at Home, scritta da un guitar hero dell’alto milanese, Jama!
- All’inizio dell’estate i Soviet Malpensa mi hanno chiesto di cantare su una loro cover di uno dei pezzi più strani della band della mia vita. Interpretare la cover di Numb degli U2 con i Soviet è davvero una delle cose musicali delle quali sono più fiero nella vita, la versione che abbiamo fatto è strepitosa. E abbiamo in serbo ancora qualcosina.
- A ottobre è uscita invece una canzone di nome Gentaglia in duetto con LOGO. Prodotto da Simone Lanza aka Waxlife, era un pezzo che io e Giulia abbiamo iniziato a scrivere all’inizio dell’anno e al quale teniamo moltissimo.
- E poi beh, ho iniziato questa newsletter, che mi sta dando un sacco di belle emozioni.
- Ultimo ma non meno importante, quest’anno ho anche cambiato casa e città, e ora vivo a Milano con la mia fidanzata Carlotta!
Ne approfitto per ringraziarvi nuovamente per essere arrivati ancora alla fine di questa cascata di parole e per le ultime settimane di compagnia. Spero che questi ricordi ed elucubrazioni mentali possano rendervi più sereno questo strano periodo. La vostra presenza dall’altra parte dello schermo mi dona sempre un po’ di santa normalità!
Magari la settimana prossima facciamo una pausetta, che dite?
Buon Natale con l’augurio che sia il più possibile normale!
A presto
Brennekedo