Mi sono reso conto che la scorsa newsletter era la numero 50. Cinquanta, capito? Cioè, c’è gente tra voi che mi ha letto cinquanta volte. Che temerarietà, che tempra. Sono ammirato e al tempo stesso un po’ inquietato. Quindi oggi è la cinquantuno. Cifra perfetta nella sua intondità. Lo metto nel titolo.
Titolo che è soprattutto (magari non lo sai) una cit della mia ultima canzone, uscita ad agosto; se vuoi ascoltarla la puoi trovare qui.
In questi giorni non sento di avere tantissimo da dire di originale, che è un bel deficit per scrivere una newsletter che abbia un senso.
Ma come altre volte tirerò fuori qualcosa per agglomerazione.
Dopo la vittoria dell’Italia che s’é destra ho pensato un po’ come tutti alle ideologie. Senza diventarci pazzo, non è che credessi in un colpo di coda particolare del progressismo. Perché dai, progresso de che? Progresso verso dove?
Mi sa che è proprio l’idea del progressismo in sé che andrebbe un po’ ripensata.
Il problema vero è che la società dei consumi è sempre più radicata attorno ad ogni individuo in un humus intrinsecamente di destra, mi sa che l’ho già scritto qui in giro diecimila volte. Come fai ad andare in piazza per Civati e aspettare il pacco di Amazon la mattina seguente?
È un’ipocrisia obbligata, se scegli di starne fuori non sei di questo mondo. Posso capire insomma per quale ragione nessuna forza di sinistra appaia davvero credibile. Nasce con il peccato originale della contraddizione, non proprio una splendida prospettiva per proporre un percorso ideologico condiviso.
Ma c’è una cosa che più di altre mi ha fatto innervosire dopo le elezioni: il benedetto e fierissimo classismo di cui si ammantano gli esponenti della cultura di sinistra italiana, soprattutto quelli della nostra età. A me sembra che negli ultimi anni sia cresciuta la consapevolezza di problemi anche urgentissimi, ma più questi sono urgenti più chi vuole sensibilizzare a riguardo (compresi i molti che si auto conferiscono il titolo di “attivisti”) lo fa rivolgendosi sostanzialmente ad un pubblico già allineato su quei temi, attraverso canali molto esclusivisti.
È giusto, non è giusto, è evitabile o non lo è: non lo so. Quel che mi sento di dire però è che se dopo migliaia di ore di dirette Instagram con, che ne so, Cathy La Torre e Will Media a parlare dei diritti civili, il risultato è che non esiste nessun movimento politico progressista e stravincono i figli dei fasci, allora si sta sbagliando qualcosina.
Ho espresso in giro qualcuna di queste perplessità, paraddossalmente dagli unici canali in cui è possibile farlo di fronte ad una platea, ossia gli stessi che rendono manifeste queste storture. Instagram, facebook, i soliti; cosa si diceva prima dell’ipocrisia obbligata? Eh va beh. Ho scoperto comunque con interesse che in tanti erano d’accordo con me.
All’indomani delle elezioni un post in particolare, su Tlon, ha attirato il mio interesse. A volte seguo Tlon, mi piace, sono bravi, ma quel post rappresentava al 200% il mio pensiero sull’esclusivismo del pensiero progressista, la culla del diritto civile che per definizione dovrebbe riguardare tutti in quanto esseri umani.
Su tlon c’era sto post lunghissimo che invitava a non perdersi d’animo di fronte ai tempi bui che bla bla, e terminava con questa mezza citazione di Dylan Thomas. Tlon non è un luogo politico perciò può fare e scrivere quello che vuole, nel registro che vuole. Il problema è che quel registro è l’unico in cui oggi si riconosce la sinistra della mia generazione, e vuole essere rappresentata da quel linguaggio. Il risultato è che per essere dalla parte giusta bisogna apprezzare o cogliere quel registro (diciamo “alto”?), che mi sembra un po’ pericolosa come deriva.
I commenti che leggevo sotto erano esattamente quelli delle persone che io personalmente vorrei incontrare ad una cena con amici. Cena alla quale rapidamente si finirebbe per parlare del declino della sinistra e dello schifo che fa il PD per poi passare al nuovo libro di Francesco Costa e al nuovo singolo di Giovanni Truppi.
Mi sembra un balletto che oramai balliamo da qualche anno. Non dico che sia tutta colpa di Tlon o di affini ma dico che magari un po’ di autocritica, visto che autocritica siamo in grado di farla, può essere utile. Il mio pensiero l’ho dunque espresso in un commento ad hoc.
Non volevo aprire un dibattito o che. E in effetti…non si è aperto nessun dibattito. Non ho notato molte reazioni. Quindi? Non so. Quindi ci penso.
Magari, gira e rigira, come sostengo da tempo, il problema sono solo i social. Il problema è il web. Secondo me arriverà un giorno in cui il web sarà svuotato, perché rappresenterà una generazione conservatrice e obsoleta (la nostra). Quando lo dico in giro la gente mi fa «ma che dici, figurati se finisce internet, sei un pazzo VATTENE». Come se dicessi che un giorno potremo volare. Sono sicuro che mediamente la gente considera più probabile lo sbarco degli alieni che la fine dell’era del silicio, il che è pazzesco. Ma la gente non è mai disposta a pensare che le cose che conosce finiscano.
Ulteriori variazioni sul tema:
A proposito di queste cose, un po’ di giorni fa mentre pranzavo ho teorizzato la struttura di un nuovo sistema di governo. Praticamente è uno Stato di Diritto in cui si vota liberamente come nel nostro, ma nel quale esiste il segreto di risultato, che lo Stato stesso è tenuto a rispettare.
Dopo le elezioni insomma la popolazione non viene informata sui risultati, non ha idea di chi abbia vinto né di chi componga il governo in carica, ma è costantemente aggiornata sull’operato del premier e dei ministeri.
Non esiste una vera e propria opposizione perché tutti i partiti si comportano sempre come se in carica ci fossero gli avversari, nemmeno loro sanno chi del proprio schieramento è effettivamente finito in parlamento.
Non so bene se è una nuova forma di dittatura o una nuova forma di democrazia, però mi sembra figo.
Avrete visto anche voi Pino Insegno sul palco della Meloni settimana scorsa.
La sua presenza fa dedurre che provenga da quella destra un po’ fascio romana tipicamente famigliare. Ora, visto che i doppiatori d'Italia sono tutti parenti l'uno con l'altro e che gli pseudo fasci si sposano solo tra loro, ne dobbiamo dedurre che tutti i doppiatori italiani sono pseudo fasci? Diciamo genericamente di sì, ma andiamo pure oltre.
Uniamoci il fatto che il doppiaggio stesso fu una pratica fascistissima diffusa negli anni trenta e voluta dallo stesso Mussolini per ragioni di orgoglio tipicamente italico.
Non fatico ad immaginarmi che i motivi dell'evoluzione famigliare del mestiere possano allora essere ricondotti soprattutto all'appartenenza politica.
Ma è una parabola perfetta. Un mestiere simbolo dell'autarchia italiana sopravvissuto al regime, un impianto familistico che si tramanda di generazione in generazione, un supporto costante ai partiti fascio-nostalgici.
Siamo tutti cresciuti con un cinema che ci trasmette un chiarissimo sottotesto fascista fatto direttamente da fascisti e non ce n'eravamo mai accorti.
È stata una specie di apologia, alla luce del sole, per decenni. Incredibile.
Già due numeri che parlo di politica. Qui si marca male. Di questo passo ad una certa presenterò logo e programma.
Un po’ di musica per finire dai: questa settimana è uscito Marsa, il disco d’esordio del mio amico Mammaliturchi. La prima volta che ho ascoltato queste canzoni ero in studio, con lui, poco più di un annetto, fa ed era la prima volta che ci incontravamo. Siamo diventati un sacco amici in questo anno e ora siamo anche vicini di casa. Ascoltare questo disco vi farà fare un viaggio bellissimo, molto mediterraneo, molto sensoriale, quasi olfattivo. Sempre in bilico tra lo spirito passato di un’Italia moresca e un inquieto presente. Questo pezzo gigantesco è il mio preferito:
Pochi giorni fa l’ha suonato live con la sua fighissima band e mi hanno messo una voglia di palco enorme.
A proposito, mi sa che in settimana potrebbero succedere delle cose interessanti.
Poi vi dico.
Intanto state al caldo che è ottobre,
Cià
Bren