Il Male nel Bene
Ho un libro da scrivere da mesi, forse anni. Parla di un fantasma e di un tizio che vive da solo nello stesso quartiere in cui vivo io a Milano. Non so se lo scriverò mai. Me l’ha più o meno commissionato un personaggio simpatico di una piccola casa editrice.
Poi avrei da scrivere un sceneggiatura, quella l’ho iniziata, mi piace, solo che non so bene come proseguire. Avrei un podcast da finire, anche quello l’ho iniziato, è una cosa più concreta. Avrei altre cose da scrivere ma sono più quelle che mi vengono in mente rispetto a quelle che riesco a mettermi a fare.
Oggi è finita la scuola. È stata una giornata difficile, caldissima, piena di grida estive di bambini. I bambini li sentono i finali ma non si immacoliscono mai. Corrono e chiedono la coca cola.
Ci ho messo più del previsto a caricare la macchina e scegliere come vestirmi per stasera. Non mi piace caricare la macchina da solo per andare a suonare. Ultimamente sono fissato con il portarmi sempre dietro il mio ampli. Ma perché? Tanto mi sembra che il suono cambi ogni volta.
Prendo ed esco, devo attraversare il centro, sei chilometri, ventisette minuti. Devo essere a Parco Sempione alle 19. Ecco, mi sa che sono entrato nell’Area C. Mi rendo conto che non so come si paghi l’area C. Lo aggiungo alla lista delle cose di cui occuparmi domani. Arrivo, parcheggio e inizio a tirare giù le cose.
Faccio un primo viaggio ed entro nel parco per arrivare al locale. Inizio a sentirmi sommerso da una vibrazione collosa e avvolgente. Ci sono bassi che sembrano di burro, entrano dai timpani lungo tutta la cassa toracica. Ogni passo in più è come immergersi in una piscina di suono quasi asfissiante. Sembra arrivare da lontano, dalle viscere del parco Sempione. Come un occhio di Sauron acustico. Se provassi a parlare con qualcuno di fianco a me non ci sentiremmo. Riconosco queste note come quelle de Il Bene Nel Male di Madame e i suoni tutti scoordinati tra loro mi fanno capire che non è la riproduzione del disco. Questo è dal vivo, è un soundcheck. Cazzo, stasera c’è un concerto di Madame qui di fianco?
Porto la chitarra e lo zaino dentro Cascina Nascosta. Nemmeno loro capiscono cosa sta succedendo. Arriva Dario. Mentre il suono invade l’intero spazio aperto del locale, creiamo a gesti una unità anticrisi. Torno alla macchina a prendere il resto della roba e ci rifletto su.
Arriva un signore, direi pakistano, che mi chiede se posso parcheggiare di nuovo l’auto in un posto diverso che mi indica. È il parcheggiatore della discoteca lì di fianco. Mi domando se anche loro siano preoccupati per il concerto di Madame ma non credo. Parcheggio di nuovo. Dovrei prendere le cose che mi mancano e tornare al locale; le lascio lì. Ho un istinto di ispirazione, una cosa da fare.
Mi giro e mi incammino verso il centro del parco, seguendo le note del set come un topo stregato dal pifferaio magico, un pifferaio trap pieno di synth. Madame ha iniziato un’altra canzone che non conosco. Più mi avvicino più mi vibrano le ossa. Questo volume non può essere legale. Cammino qualche minuto e inizio a vedere il palco, proprio dietro all’Arco della Pace. Leggo il nome dell’evento. Milano Party Like a Deejay. Ho capito che roba è, la festa di Radio Deejay. Senza farmi troppo notare riesco a infilarmi a lato dello stage principale. Nessuno mi ferma, forse perché con il cappellino ho l’aria da fonico. Scorgo un foglio appeso ad una grata con il timing della giornata. Il concerto non è oggi, questo giorno è tutto dedicato ai soundcheck, ma stando a questo foglio andranno avanti tutta la sera. Solo che io qui fianco ho un mio concerto da fare.
Noto un pass backstage abbandonato in giro attaccato alla sua cordicella. C’è scritto un nome a pennarello, lo prendo senza che se ne accorga nessuno e me lo metto al collo. Sono una spia, sono Indiana Jones. Mi passa di fianco MACE, lo saluto anche se non ci siamo mai parlati, lui fa lo stesso ma non mi guarda nemmeno. Mi sento spinto da una forza strana e mi aggiro nel backstage cercando qualche spunto per salvare il mio live. Madame ha appena finito la prima parte del suo check, mi aspetto di vederla scendere dal palco con una band. Scendono solo in due, lei e il suo DJ.
Scorgo uno dei manager di Madame, Riccardo Malaguti. Qualche anno fa ebbi con lui uno screzio legato ad una birra appoggiata sul mio Vox AC30 in un retropalco di provincia. Era il coordinatore di una piccola rassegna nel modenese di nome «Rock-a-Mò». Sono certo che non si ricorderebbe di quell’episodio. Si dicevano cose curiose su quel tizio. Che era un ex finanziare e che aveva avuto varie società con nomi sempre diversi. Era stato anche citato in una puntata di Blu Notte di Carlo Lucarelli perché personaggio chiave in un processo misterioso per un omicidio nel lodigiano. In realtà nessuno aveva mai visto la puntata in questione né aveva mai fornito una prova di questa cosa. Nel giro musicale di Modena, che avevo frequentato un po’ nel biennio 2014/15, le storielle su di lui avevano poi travalicato ogni limite di ragionevolezza, tra ‘Ndrangheta e servizi segreti deviati.
Qualcosa mi dice che non è l’interlocutore giusto. Entro più nelle profondità del backstage, cerco qualche volto a me noto di Radio Deejay con cui possa parlare. Il caldo è opprimente. Mi passa di fianco un montato con gli occhiali da sole con le lenti rosse, un tribale gigante sul braccio e una camicia a maniche corte con dei motivi floreali. Con accento romano chiede ad alta voce se qualcuno abbia visto il suo pass backstage. Cazzo. Mi giro e mi infilo nella prima stanza aperta che trovo, fingo naturalezza versandomi un bicchiere d’acqua da una brocca su un tavolino. Mentre bevo mi accorgo che in fondo alla stanzetta prefabbricata sta seduta su un divanetto, da sola, Madame. È vestita con pantaloncini e maglietta fucsia, ha degli occhiali da sole nerissimi enormi e mi sembra un po’ assente.
- Madame, ciao..Francesca no?
- Eh? Sì sì, ciao.
È piuttosto strano ma il modo di parlare di Madame mi ricorda un po’ quello di Vasco.
- Senti sono Edoardo, stasera faccio un concerto qui di fianco. Ma voi davvero fate il check tutta la sera?
- Boh, io non so quando inizio e quando finisco. Faccio quello che mi dicono di fare. A dire il vero vorrei mettermi sul prato a leggere.
- Senti, pensi che si riesca a fermare la cosa per, chessò, un’oretta tra le 22 e le 23? Magari riesci a intercedere un po’.
Non si muove e sembra una statua, ma qualcosa nel suo modo di tenere il mento mi fa capire che mi sta ascoltando bene.
- Chiedi a Riccà, guarda sta lì.
Mi giro e nella stanzetta è entrato Malaguti. Fuma e mi sta osservando incuriosito.
- Ehi ma io mi ricordo di te.
- Eh sì ciao…ciao Riccardo.
- Sì sì in giro a Modena. Com’è? Ma lavori qui? Non t’ho visto prima.
- No no, non lavoro qui. A dire il vero volevo chiederti una cosa, lo stavo dicendo ora a Francesca. Stasera suono qui di fianco. Non è che puoi chiedere di fermare il check per un’oretta? Giusto il tempo del mio live. Se no ti giuro non possiamo farlo, questi volumi sono assurdi.
Finisce di aspirare il tiro di sigaretta. Butta fuori il fumo, ho l’impressione che lui e Madame si guardino di sfuggita.
- Vieni vieni.
Lo seguo. Si mette un cappellino e usciamo di qualche metro dal backstage. Ci mettiamo dietro al gabbiottino dell’impianto elettrico, non c’è nessuno e qui il caldo è mortale.
- Ok senti, per me va bene di fermare il check. Mo’ chiamo la produzione, blocco tutto un’oretta, mi invento qualcosa. In cambio però devi fare una cosa per me. Intanto prendi sto numero di telefono, mettilo in tasca.
Mi mette in mano un bigliettino in carta d’avorio, filigranato, con un numero stampato in bel carattere. Non un nome, non un logo, niente.
- Eh? Ma che devo fare?
Malaguti tira fuori una busta dalla tasca e me la porge.
La busta è già aperta, tagliata netta dalla parte sopra. Dentro c’è un bracciale di perline blu cobalto con un piccolo teschietto e un foglio piegato. Mentre apro il foglio mi assalgono delle brutte sensazioni. È un testo breve. Leggo velocemente, ma arrivato alla fine non riesco a crederci e lo leggo di nuovo.
- Ma sei serio Ric? Guarda tieniti pure il soundcheck, annullo il concerto e amen, non voglio saperne niente di sta roba.
- Edoa’ oramai lo hai letto e mo ci stai dentro anche tu. Non serve specificare cosa può succedere se ti tiri indietro. Le cose stan così come le hai capite, quel che devi fare lo sai. Tre giorni.
Sembrano trascorse ore in questi minuti. Ora a fare il check ci sono i Pinguini Tattici Nucleari ma mi sembra di non sentirli nemmeno.
Torno verso la Cascina Nascosta a passo sveltissimo e tiro fuori il telefono. Ci sono tre chiamate senza risposta di Dario.
Arrivo al locale.
- Ma dove minchia stavi?
- Tutto ok, risolto, per il concerto smettono.
Non posso dirgli cosa è successo realmente. Non lo posso dire a nessuno. Finisco di allestire il mio spazio e mi metto a mangiare qualcosa in silenzio, da solo, con un bigliettino in carta avorio da 100 gr nella tasca che pesa come una montagna di quattromila metri.
È già arrivata tanta gente. Saluto tutti ma con distacco. Amos mi dice che domani sera Flavio fa l’Olimpico. L’Olimpico. Vado verso il mio palchetto, metto una bottiglia acqua, accendo l’ampli per scaldare le valvole.
Mi cade l’occhio sulla mia scaletta. L’altro ieri avevo deciso di aprire con una versione minimale di Milano e Vincenzo di Alberto Fortis. Fino a questo pomeriggio il mio unico problema era ricordare i cambi di accordo della canzone e settare il mio reverbero della TC Electronic in modo che la chitarra acustica non facesse feedback dentro l’ampi.
Volevo solo fare il mio concerto.
Ma ora c’è un nuovo gioco a cui devo partecipare. Ed è un gioco più grande di me.