Wow.
La settimana scorsa ci ho anche pensato di scrivere una ragnatela di getto per cogliere immediatamente le impressioni post concerto. Ma poi hanno vinto il letto, il divano e dei postumi di influenza che mi porto avanti da tipo un mese. E allora eccomi qui ora, a tempesta di sabbia posata.
Intanto, guardate la foto stupenda di Ambra. Racconta già quasi tutto.
Su queste pagine ne avevo parlato anche in modo troppo dimesso (tutta strategia psicologica auto esorcizzante), ma il concerto dell’11 novembre era una cosa davvero molto importante per me. Non solo per via del contesto, la festa della mia etichetta Vetro Dischi, ma soprattutto perché non salivo sul palco con le mie canzoni da praticamente tre anni. Chi di tanto in tanto occhieggia questa newsletter forse ricorda che lo scorso anno avevo suonato un concerto tributo a Dylan con il mio amico Walzer. Ma le due cose non sono paragonabili. In quell’occasione avevo suonato e cantato esclusivamente cover. Salire sul palco e fare le proprie cose è un altro campionato.
La storia di questa serata è semplice. Un giorno di qualche settimana fa mi chiama Ita e mi chiede se mi sarebbe piaciuto partecipare a questo set speciale per la festa dell’etichetta all’Arci Bellezza, che culminava poi con il concerto degli Aquarama. Libertà massima. Come si fa a dire di no? In quel momento non mi sentivo granché pronto a tornare sul palco ma forse è per quello che era il momento giusto. Qual è il momento in cui bisogna far qualcosa? Quando non ti senti pronto.
Sono più o meno quindici anni che suono ma nell’ultimo paio avevo passato un sacco di tempo a rifletterci su più che a farlo. Esibirsi è una roba complicata, ne ho scritto qui diverse volte. Evolve con l’evoluzione di una persona e non ero così certo di essere ancora capace. Mi sento parecchio diverso rispetto a due o tre anni fa. Si tratta sempre di gestire quel limbo tra quello che si vorrebbe essere e quel che si è. Che pizza.
Mi sono smazzato queste riflessioni per i fatti miei perché la cosa in sé era troppo bella per offuscarla con le pare.
Io, Mammaliturchi e Rosita abbiamo creato una specie di band in trio per fare pezzi di tutti e l’abbiamo chiamata Vetrodischi Ensemble. Le prove sono state poche ma lunghissime perché per la maggior parte del tempo le abbiamo passate a fare le imitazioni al microfono e ridere secondo codici inventati lì per lì e tutt’ora noti solo a noi.
Devo dire che il set è stato una vera figata. Abbiamo riarrangiato tutti i pezzi scelti (due di ciascuno più una cover) per chitarre un po’ acustiche un po’ elettriche, basso, tastiere e synth, drum machine e tre voci. È una roba che ti prenderebbe un mese, l’abbiamo tirata giù in un paio di prove. Per un po’ ho pensato di suonare qualcosa di vecchio ma alla fine ho deciso che la cosa migliore era battezzare le mie due nuove canzoni.
Il giorno del concerto mi sono tornati tutti gli automatismi tipici da live. Tutte quelle cose rognose dell’andare a suonare (caricare la macchina, andare, scaricare, montare, fare il check, mangiare male, aspettare) mi sembravano atti di un’opera teatrale da recitare a memoria. Pandemie, guerre, ricambi generazionali, locali deceduti, ma sul palco ad un certo punto qualcuno chiederà dov’è finita la gaffa. Così come 20 anni fa. Un’esibizione possiede i suoi rituali, alcuni sono fastidiosi ma perlomeno sono una certezza.
Una sensazione che in particolare avevo un po’ rimosso è il buio da palco e mi ha colpito riscoprirlo.
Questa è la scaletta che abbiamo fatto:
Buonanotte (di Rosita)
Buona Miseria (mia)
Cordigliera (di Mammaliturchi)
Cuore Mio (di Rosita)
La Vita Immaginata (mia)
Damasco (di Mammaliturchi)
Love Will Tear Us Apart (dei Joy Division)
È stato abbastanza surreale suonare per la prima volta Buona Miseria e La Vita Immaginata. Quest’ultima è uscita piuttosto classic rock anni Novanta, Buona Miseria invece ha curiosamente mostrato un piglio indie folk che non avevo considerato. Ovviamente ho scordato qualcosa in qualche testo, il che mi ha discretamente innervosito per diversi giorni. Però c'est la vie. Quando dimentico quasi quasi inizierò a inventare.
Al di là dei miei pezzi, per i quali nutrivo un po’ di agitazione e che non posso dire di essermi propriamente goduto, la cosa che in assoluto mi ha fatto più sbarellare è stato suonare il basso sui pezzi di Alfredo e Rosita. Prima di tutto perché le canzoni erano bellissime e divertentissime da suonare. Poi perché il basso mi tira fuori tutto un equilibrio perfetto tra benessere e orientamento al risultato. Mi ci devo impegnare sì, ma mi viene senza stress. Forse dovrei farlo più spesso. Ah, se la vita fosse sempre come suonare il basso su un palco.
Oltre alle venature più folk acustiche dei pezzi miei, era un set pieno di elementi, dal soul dei pezzi di Rosita alla psichedelica di quelli di Mammaliturchi alla new wave di Love Will Tear Us Apart (che è uscita un discreto casino ma forse è stato quello il bello).
Psycho/folk/soul/wave. Un improbabile accostamento di generi, ma quanto era probabile la ricetta del vitello tonnato eh?
Sì insomma alla fine io, Rosita e Mammaliturchi ci siamo guardati e ci siam detti, ma perché questa cosa deve essere per una volta sola? Che senso ha?
Quindi ci si vede, Vetrodischi Ensemble.
Ci si vede, palco.
Ci sentiamo in settimana sui canali social vari che vi dico una cosa.
Qui una pazzesca canzone degli Smile che mi è partita in sottofondo mentre scrivevo questo numero. Non sappiamo cosa porterà il domani.