Ho appena mangiato un big mac e di fianco a me c’è un operaio in pausa pranzo che assomiglia tantissimo a Bruce Springsteen. Capisco che è un operaio perché ha un giubbotto catarifrangente arancione. E perché, boh, ha gli occhi da operaio. Giuro che di profilo la somiglianza è quasi impressionante, sono tentatissimo di fotografarlo ma mi sgamerebbe di certo. In effetti c’è una connessione tra Sesto San Giovanni e Asbury Park, NJ.
Non ho ancora trovato le parole giuste per inquadrare quel che è avvenuto l’altra sera a Mosso. So che un momento eravamo al check cercando di raccapezzarci su come far uscire il suono del mio Fender Princeton senza divorare la cassa della batteria e il momento dopo cento persone stavano ballando su Satelliti.
Un set veramente alternative rock, a tratti quasi garage, con un approccio un po’ alla Beatles ad Amburgo.
Per certi versi vestire di nuovo i panni di questo pseudo supereroe di provincia è stato come non avere mai smesso. Fisicamente invece è stato uno sforzo notevole. Eh, non ho più 32 anni.
Alcune istantanee:
Sul palco oltre a noi quattro c’era una pianta. È una caratteristica che dovrebbe essere integrata più spesso nei palchi. I palchi bosco.
Prima di iniziare ci siamo accorti che in tre (io, Pep e Dani) eravamo accomunati fisionomicamente, mentre Alf era la quota ribellistica del nostro look. In futuro potremmo scambiarci le posizioni, come fecero i Muse su Rai Due.
Sul palco non era facile sentirsi l’un l’altro ma questo ha portato ad alcune caratteristiche molto interessanti. C’è stato un momento fichissimo in Incendio, quando i colpi alla Verdena di Pep e Dani rimanevano leggermente sfalsati dalle chitarre ma chiudevamo perfetti insieme su ogni battuta. Una roba un po’ involontariamente jazz. Forse siamo una band post rock jazz.
Abbiamo suonato Le Cose Lucenti alla fine e non l’avevamo mai provata tutti insieme. In pratica era la prima volta che la facevamo e Alfred ha incastrato le sue parti così, a sentimento. È uscita perfetta. L’ennesima prova di una mia vecchia teoria: talvolta le prove sono nemiche di un bel momento sul palco. Vuoi fare una bella cosa sul palco? Non provarla. O farà schifo o sarà fantastica.
Da bere c’era l’acqua in lattina, che è piuttosto diffusa in certi locali e mi fa sempre discretamente ridere.
Ho suonato l’intero concerto con la mia prima chitarra in assoluto, una Epi SG che mi comprarono i miei alle medie. Non la portavo su un palco da circa 20 anni.
Mi sono reso conto praticamente durante il live che faccio concerti come Brenneke esattamente da 10 anni. In tutta sincerità credo di avere un po’ sfidato la mia tenuta alla nostalgia con Piscine e Ragnatele voce e chitarra. Mancarone.
Il giorno prima del concerto avevo letto qualche cosa sulla Cabala. Non ho capito bene che cavolo sia, ma mi pare che in parte si basi sull’interpretazione della realtà tramite i segni. Ero al lavoro e avevo un dado in mano. Ho deciso che avrei lanciato il dado e se fosse uscito l’uno il concerto sarebbe andato bene. Era una probabilità piuttosto bassa. Non ditemi che non avete mai avuto pensieri del genere. Ho rigirato per un po’ il dado, poi ho aperto la mano e l’ho guardato. Era già sull’uno. Allora non ho sfidato oltre la sorte e mi sono accontentato del segno senza il lancio. Una cabala un po’ furbacchiona, però ha funzionato.
È stato proprio un concerto in stile Ogni Mai Più. Non so cosa sia lo stile Ogni Mai Più in verità. Qualunque cosa sia, è stato quello.
La serata ha avuto significati diversi per più persone e credo che parte di questi li abbia colti molto bene Giulia con queste parole bellissime:
A tutti coloro che sono venuti a sentirci suonare alle 23 in un mercoledì di gennaio: semplicemente grazie. Come si dice grazie più di grazie? Ecco, quel grazie lì.
Il sosia di Bruce è andato. Forse doveva finire di scrivere la sua Badlands.
A prestissimo,
Bren