Da quasi dieci anni ho una band strumentale di garage psycho blues di nome Charbon De Bois. In questo lasso di tempo abbiamo composto la bellezza di due pezzi, che escono oggi in una pubblicazione dal titolo “The Green Blvd. Sessions”. La storia di questo gruppo è oscura: l’unica cosa certa è il nome.
La formazione è composta da elementi disparati e la maggior parte di essi sono immaginari. Alcuni non appartengono nemmeno alla nostra epoca. Nel corso della sua esistenza la band ha fatto solo due prove. Nella prima abbiamo suonato tutto l’album Justified di Justin Timberlake del 2002. La seconda prova, avvenuta a distanza di alcuni anni, non era proprio una prova, bensì una cena. Durante questi due incontri gli unici elementi fissi siamo stati io e il batterista, un certo Porter originario di Pasadena (LA). Lui arrivò in Italia quindici anni fa, originariamente per studiare tecniche pubblicitarie in una costosissima scuola milanese. Appena atterrato a Malpensa però trovò lavoro in una boutique dell’aeroporto e di conseguenza in questi tre lustri non è mai uscito dalla città di Ferno. È l’unico membro della cui effettiva esistenza io non dubiti. Il bassista dovrebbe essere uno scostante personaggio di nome Hernesto. Credo che sia una persona vera ma non ne sono sicuro, perché l’ho solo conosciuto su internet e mi ha inviato le sue tracce via mail. Durante la prima prova non si è presentato e durante la seconda penso di averlo riconosciuto nelle vesti di un cameriere, ma non ha servito il nostro tavolo. Abbiamo cambiato diversi secondi chitarristi ma sospetto che fossero sempre la stessa persona con parrucche diverse. Un indizio risiede nel fatto che si sono sempre presentati tutti con lo stesso nome, ossia Enrico, peraltro curiosamente simile ad Hernesto.
Il disco di due brani che abbiamo registrato è costato tantissimi soldi, più o meno 50.000 euro. Li abbiamo dati ad un produttore ex membro della finanza di nome Massimino, che ci ha prospettato un futuro di gloria e fama internazionale per poi scappare con il denaro. Successivamente abbiamo scoperto che con quella cifra Massimino aveva aperto un bar a Bellaria-Igea Marina. Ricontattato, si è detto sorpreso della nostra perplessità in quanto lui aveva inteso che eravamo soci in affari proprio per l’apertura di questo esercizio e non aveva davvero capito che di mezzo c’era un progetto musicale. La sua convinzione sulla non esistenza della band ha messo in crisi la formazione. Due di noi hanno lasciato il progetto, adducendo come motivazione che non era mai esistito. Attualmente il futuro del gruppo è molto incerto, così come il suo passato.
“The Green Blvd. Sessions” esce solo su Bandcamp, come nella migliore tradizione.
Potete anche seguire l’evoluzione del gruppo su una pagina Instagram che forse a tendere si occuperà esclusivamente di meme.
Qualunque cosa sia Charbon De Bois, da quanti membri veri o presunti sia composta questa cosa, le sue facilonerie chitarristiche sbrindellate hanno l’inusuale potere di rassicurarmi.
The Green Blvd. Sessions è la prima cosa ad uscire sotto questo nome francese e forse pure l’ultima. Anche se così fosse, avrebbe adempiuto al suo compito di celebrare la sacrosanta inutilità del rock ’n roll nel modo giusto.
Questi pochi minuti di musica stanno da qualche parte tra Jimmy Page, Santana, Tony Iommi, Robby Krieger, Josh Homme, Gary Clarke Jr e Adriano Viterbini. Sono per me uno specchio deformante dentro al quale a dire la verità non guardavo da un bel po’.
Negli ultimi due anni ho attraversato un moto di ritorno al passato, alle origini di tutto, che sono andato a cercare nei pomeriggi di quasi 20 anni fa con la mia diavoletto SG e il mio meg amp a transistor: entrambi funzionano ancora. Avevo una serie di fasce per i miei capelli lunghi che il più delle volte portavo come una specie di polsino. Mettevo magliette dei Led Zeppelin e abusavo del wah wah. Suonavo senza sapere tante cose e perciò sapevo tutto. In un perenne tormento tra intellettualizzazione e semplificazione vivevo le distorsioni con conflittualità: temevo il rock ’n roll insito nel rock ’n roll. In pratica era una paura dell’incoscienza, forse dell’adolescenza. In questa mia perenne fuga dal teen spirit ho provato a rifugiarmi addirittura nel jazz, uscendone ancor più confuso. Il paradossale risultato è che, in realtà, le distorsioni le amo di più adesso.
Questi due brani suonati da me (e da tutti gli altri elementi della band, ovviamente) sono praticamente delle demo, così come le avrei fatte 20 anni fa se ne avessi avuto la possibilità.
Chocolight è un nome che lascia abbastanza perplessi per un pezzo, ma per lungo tempo si è chiamata Muffin Blues, quindi poteva solo che migliorare. Black Party se possibile è un nome ancor più fuori fuoco perciò è il nome giusto. In copertina ci sono due tizi con un treno e degli pterodattili, perché era la cosa giusta da fare. Suppongo che tutte unite queste cose abbiano un senso. Suppongo che il loro non avere un senso abbia un senso.
Ne riparleremo. Forse.