Amici musicali, ma che ci vogliamo fare ancora con sti social?
Probabilmente, mentre i social gettano la maschera svelando il loro reale scopo finale (la spremitura dei dati degli utenti per gli addestramenti di ogni tipologia di intelligenza artificiale), penso che sarebbe ora per i musicisti e gli artisti di fare alcune riflessioni a riguardo.
Quando Meta ha ufficialmente comunicato a tutta Europa che avrebbe trattenuto i dati per gli addestramenti delle sue AI (per quanto lo facesse ovviamente già prima, anzi potete opporvi qui) ho trovato che si fosse varcata una soglia. Cioè, sono da sempre molto infastidito dai social, ma da artista ora mi viene proprio da dire: non è che a questo punto ci conviene davvero piantarla di fingere che questa deriva vada bene, uscire dai social e inventare spazi, virtuali o reali, altrove?
I social non hanno davvero più niente di comunitario. Fino a un paio di anni fa la catalogazione dei nostri dati serviva (perlomeno, fa ridere scriverlo) al mantenimento di uno status quo economico che interessava il sistema produttivo nella sua interezza. Lo sappiamo tutti no, tu guardi le cose che ti piacciono, il sistema ti profila e cerca di orientare la tua esistenza di consumatore e di essere umano. Era già una merda così, per intenderci.
Ora però i social servono (disperatamente) alle big tech per garantirsi flussi di dati nuovi, costanti e variegati per addestrare modelli AI. Si può essere pro o contro l’AI o alcuni suoi aspetti, ma non è questo il punto. Se prima i social servivano per farci comprare cose, ora servono per clonarci.
Il punto è che un Brenneke nell’infosfera dei social esiste esclusivamente per lavorare nella sala macchine di Zuckerberg o Bezos, buttando il carbone nella fornace che poi alimenta il loro treno.
Nei panni di normale cittadino diurno, da individuo ingranaggio di un sistema produttivo condiviso, potrei anche farmi andare bene di partecipare a questo processo.
Ma da artista mi sento umiliato. Prima costretto a vivere, presentarmi ed esistere in funzione quasi esclusiva di un’identità digitale che non mi rappresenta e non voglio sostenere. Ora sono anche obbligato a venire defraudato di quel poco di verità rimasta incastrata tra gli ingranaggi digitali, regalata a un enorme blob superiore. Dove conduce tutto questo?
A proposito, ho creato a tempo perso una società .
Mettiamo che ci sia una nazione sconosciuta, uno Stato di Diritto pienamente sviluppato ma molto piccolo. Al centro del sistema economico di questa nazione vi è una gigantesca company tecnologica che ricava il suo fatturato rivendendo i dati degli utenti che popolano i suoi canali web. Mettiamo che a capo di questa azienda ci sia un miliardario CEO misterioso di nome Musk Bezorberg.
Il primo azionista di quest’azienda è lo Stato stesso e ne possiede una quota considerevole. L’azienda genera una clamorosa entrata in tasse allo Stato. Con le enormi quantità di tasse lo Stato finanzia un reddito fisso per tutti i cittadini, a patto che utilizzino questi soldi per muovere i consumi.
Con il tempo emerge che Musk Bezorberg in realtà non esiste, non è mai esistito ma è un’intelligenza artificiale. E lo stesso vale per i dipendenti della società di cui è a capo: tutti artificiali. Questo non cambia però il fatto che genera realmente gli introiti in questione.
Ecco, ho creato una società in cui nessuno lavora e tutti hanno un reddito.
Nottetempo, le strade isolate delle periferie della nazione si riempiono di esperimenti sociali di autogestione e comunità alternative, con concerti rock‘n’roll che si susseguono dal tramonto fino all’alba.